Adriana Comaschi, L’Unità 15/2/2014, 15 febbraio 2014
MAFIOSI LIBERI A PAGAMENTO: NUOVO ARRESTO PER L’EX GIP GIUSTI
Una corruzione continuata, ripetuta, per favorire la ‘ndrina dei Bellocco attivi a Rosarno, nella piana di Gioia Tauro. Ecco l’accusa che ha portato a un ordine di custodia cautelare per il magistrato Giancarlo Giusti, attualmente peraltro sospeso dalle sue funzioni perché già coinvolto in un’indagine della Dia di Milano: anche allora per una storia di corruzione, con la ‘ndrangheta del clan Lampada pronta a pagargli viaggi, alberghi di lusso ed escort per la sua «collaborazione».
A puntare il dito contro di lui questa volta è la Procura di Catanzaro. Il blitz della polizia di Reggio Calabria di ieri mattina porta all’arresto di sette persone, l’operazione «Abbraccio» scatta a suggello di un’indagine complessa. Si contesta loro la corruzione in atti giudiziari aggravata dall’art.7 della legge 203/91 e il concorso esterno in associazione mafiosa. C’è un magistrato, è il dettaglio amaro che subito emerge. Un giudice corrotto, quanto di più difficile da sopportare nella già difficile lotta alla criminalità organizzata. Quando viene reso noto il nome di Giusti suona come un deja vu. E allora vale la pena ricostruire l’incredibile caso di un magistrato, promosso dal Csm (il Consiglio Superiore della Magistratura, massimo organo di autogoverno dei giudici) appena pochi mesi prima di venire indagato a Milano.
Chi è dunque Giusti? 45 anni, dal 2001 si occupa di esecuzioni immobiliari a Reggio Calabria, dal 2010 è gip a Palmi. L’episodio che ieri lo riporta sotto i riflettori risale all’agosto 2009. Giusti è nel collegio del Tribunale del Riesame di Reggio Calabria, chiamato a decidere delle sorti di Rocco Bellocco, Rocco Gaetano Gallo e Domenico Bellocco, alias «Micu u Lungo», uomini di spicco dei Bellocco. Secondo l’accusa, Giusti avrebbe trovato i cavilli giusti per portare alla loro scarcerazione in cambio di 120 mila euro.
IL PRECEDENTE MILANESE
Ma su di lui gravava già un’ordinanza par corruzione aggravata da finalità mafiose del gip di Milano Giuseppe Gennari. (Che così “ritrae” Giusti: «Un personaggio professionalmente dedito al malaffare che fino a ora è riuscito incredibilmente e miracolosamente a salvarsi da ogni conseguenza». L’indagine che lo travolge all’ombra della Madonnina porta la firma dell’antimafia, è coordinata da Ilda Boccassini e mira a colpire i fiancheggiatori della costa Lampada Valle e poi il presunto boss Giulio Lampada. È con lui che Giusti instaura un vero e proprio «rapporto di lavoro». Come giudice di esecuzioni immobiliari, Giusti gestisce una serie di aste con un occhio di riguardo per il clan, affidando a esempio lotti per 300mila euro a una società off shore di cui lui stesso sarebbe stato socio, insieme a Lampada. In cambio di questo e altri interventi, Giusti avrebbe ricevuto almeno 70mila euro. Tra viaggi e soggiorni spesati di tutto, compreso il «relax» con una serie di escort. Tutto puntigliosamente annotato dal magistrato in un diario. Giusti finisce in carcere, dove tenta il suicidio. In seguito gli sono concessi i domiciliari. Le polemiche sulla sua persona insomma sono aperte, e non da oggi. Il gip Gennari aveva puntato il dito contro la mancata censura del Csm su episodi risalenti addirittura al 2005, che se valutati diversamente avrebbero portato a fermare prima un magistrato per cui la corruzione era quasi un secondo lavoro: «Dovevo fare il mafioso, non il giudice» lo registra impietosa un’intercettazione. Giusti aveva ad esempio gestito l’asta che portò alla società del padre della sua ex moglie un lotto di immobili da ben 600mila euro. Aveva poi affidato molte consulenze a periti amici. Il Csm se ne occupò nel 2007, ma lo assolse.