Asif, Domenica, Il Sole 24 Ore 16/2/2014, 16 febbraio 2014
QUEL BOSS HA UN CUORE D’ORO
Quando il sogno americano si colora di bianco, rosso e verde, quando si condisce con la pummarola ’n coppa, quando s’inzuppa nel Lambrusco, alcuni elementi non tardano a manifestarsi: quel bisogno di sentimentalismo croccante, quella necessità di strazio fumante, quella voglia di piangere sempre di più, e meglio. Insomma, quell’enorme glassa zuccherina, calda e appiccicosa, che tiene insieme ogni italianizzazione che si rispetti.
Un boss in incognito (titolo originale Undercover Boss) è la versione nostrana dell’ennesimo format d’importazione, affidato al sardonico e doppiopettuto Costantino della Gherardesca, in onda in queste settimane in prima serata su Rai 2. Il programma è strutturato come una sorta di ridanciana – ma in realtà struggente – candid camera aziendale che vede i top manager di ponderose multinazionali travestirsi da umili dipendenti, scrutati dall’occhio morboso delle telecamere, sedotti dal fascino indiscreto del montaggio televisivo.
Così, Paolo Penati, grande capo di Qvc, diviene il titubante stagista Antonio. La trasformazione appare vagamente caricaturale: al malcapitato viene rifilato un look mutuato dalla scena musicale grunge anni ’90 (ovvero: camicie di flanella e imperdonabili maglioni color senape) e istallata una parrucca da clochard militante. Il risultato è una specie di Kevin Spacey disperato. «Io dico che sei di una bellezza rara», commenta quella canaglia del Costy.
La prima parte del programma procede secondo una situazione-tipo classica: il boss sotto mentite spoglie finge di imparare i rudimenti del mestiere, incontra i suoi dipendenti – che si rivelano tutti favolosi –, e poi, superati gli inutili convenevoli, comincia a interrogarli. Sicuramente chiederà delucidazioni circa il lavoro. Vorrà sapere ogni dettaglio.
«Credi nei tuoi sogni? Che fine hanno fatto i tuoi ideali?», incalza il boss mascherato, «sei sposato? Dove andrai in viaggio di nozze? E coi genitori divorziati come hai fatto?». Finisce che guardano le reciproche foto memorizzate sul telefonino, commuovendosi e dandosi pacche sulle spalle.
Ma lavorare ogni tanto, no?
Questi parlano per ore, frignano, si consolano, ma di svolgere le mansioni per cui sono pagati non se ne parla.
Alla fine, il boss sotto copertura riacquista il ponte di comando dichiarando di aver incontrato «tanti giovani capaci». «Complementi», commenta l’anglofono collaboratore, forse alludendo ai dettagli d’arredo mancanti.
Chiude la serata la convocazione faccia a faccia dei (presunti) gabbati: il boss ritrovato li promuove e consegna biglietti aerei per il Messico e forniture di pannolini.
È la festa della melodrammaticità made in Italy: abbracci mozzafiato e fiumi di lacrime.
E allora, piangiamo tutti: in televisione e sul divano.