Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  febbraio 16 Domenica calendario

L’ORO NERO DEL MESSICO FA ARRICCHIRE I NARCOS

È uno dei troppi dettagli su cui non sof­fermare a lungo lo sguardo. Gli abitan­ti del Tamaulipas, nel Nord-Est del Messico, conoscono fin troppo bene le rego­le. Hanno dovuto impararle: trasgredirle e­quivale a una condanna a morte. E, così, ogni volta che, lungo un condotto petrolifero, scor­gono una “ordeña” (termine colloquiale per indicare una valvola), fanno finta di non ve­derla. Eppure quel marchingegno stona ter­ribilmente con la sofisticata ragnatela di tu­bature targate Pemex.
Qui fluisce il greggio messicano, almeno fino a quando la riforma energetica – firmata a di­cembre dal presidente Enrique Peña Nieto – non entrerà in vigore e il colosso petrolifero perderà il monopolio, dopo 76 anni, aprendo il mercato ai privati. Una buona percentuale dell’oro nero si “smarrisce”, però, per strada. In realtà, finisce oltre confine, in Texas, o nei vi­cini Guatemala, Salvador, Honduras per vie al­ternative. O meglio narco-vie. Attraverso le “or­deñas”: in media se ne conta una ogni 14 chi­lometri di tubo, per un totale di 2.614. E il da­to riguarda solo quelle scoperte dalle forze del­l’ordine nel 2013, il numero maggiore degli ul­timi 13 anni: nel 2000 erano state poco più di un centinaio. Tanto che il dipartimento di si­curezza di Pemex ha definito il proprio retico­lato, lungo quasi 38mila chilometri, «una gi­gantesca gruviera». Su chi sia stato a ridurla in questo stato esistono pochi dubbi.

Il furto di petrolio su vasta scala richiede tec­nologia, infrastrutture e – non ultimo – una re­te di connivenze da parte della polizia, della po­polazione e dello stesso sistema di sorveglianza di Pemex. “Competenze” criminali che solo i narcos possiedono. E in abbondanza. È stato il gruppo dei Los Zetas – subito dopo la scis­sione dal cartello del Golfo nel 2009 – a tra­sformare una prassi di ruberie sporadiche in una macchina miliardaria, al ritmo di sette perforazioni clandestine in media al giorno. Ben presto, il loro esempio è stato seguito da­gli ex alleati e ora rivali del Golfo, dalla banda di Sinaloa, dai Cavalieri Templari. Risultato: l’intera fascia petrolifera del Messico – in par­ticolare Tamaulipas, Hidalgo, Veracruz, Jalisco, Sinaloa, Puebla, Tabasco – è diventata un cam­po di battaglia tra narcos per il controllo del greggio. Per il direttore generale, Emilio Lo­zoya, solo nel periodo da gennaio a settembre 2013 , Pemex ha perso almeno 1,15 miliardi di dollari di combustibile, circa l’1 per cento de­gli introiti legali. In cinque anni – ha ribadito il sottosegretario all’Energia, Enrique Ochoa Reza – sono stati bruciati quasi 5 miliardi. L’a­nalista statunitense David Shields parla però di una cifra ancora maggiore: tra i due e i quat­tro miliardi all’anno. Soldi che entrano esentasse nelle tasche delle multinazionali del crimine. Queste ultime, co­me ogni altra impresa, negli ultimi anni, han­no “diversificato” le attività, cercando nuove fonti di business. I proventi dell’oro nero si sommano a quelli derivanti da traffici più “tra­dizionali”: cocaina, esseri umani, estorsioni. Una parte del petrolio estratto illegalmente viene venduto nel mercato locale. La quota maggiore, però, viene “esportata” negli Stati Uniti Uniti. Le inchieste giudiziarie lo dimo­strano. Di recente, la polizia Usa ha accusato cinque società di Houston – tra cui la Conti­nental Fuels – di ricettazione per aver acqui­stato petrolio rubato. Una di queste è finita di fronte alla corte federale a gennaio. Una pre­cedente inchiesta, del 2011, aveva mostrato la forte capacità dei bande criminali di com­mercializzare in territorio statunitense il greg­gio trafugato. Quella volta finirono sotto inchiesta almeno dodici società. L’apertura ai privati del merca­to energetico, ora, potrebbe rappresentare un’ulteriore occasione di business per i narcos. Molte aziende statunitensi hanno già avviato i primi contatti per trasferirsi a sud del Rio Bra­vo. I russi le hanno battute sul tempo: la com­pagnia Lukoil ha appena annunciato un’al­leanza strategica con Pemez, lo scorso mese. Al di là, delle implicazioni economiche – che dipenderanno dalle norme attuative ancora in discussione –, secondo un recente studio e­laborato dal gruppo specializzato Insight Cri­me, a preoccupare è l’impatto sulla sicurezza. Le nuove arrivate avrebbero una scarsa cono­scenza del territorio e dei sistemi di sopravvi­venza necessari per fronteggiare i narcos, abi­lissimi nell’approfittare della frammentazio­ne. Oltre al fatto che per l’esercito sarebbe più complicato garantire l’incolumità degli im­pianti. Nel breve periodo, si prevede un ulte­riore incremento dei “vigilantes” privati. Set­tore in cui Los Zetas e compagni sono ampia­mente infiltrati.