Luca Capuzzi, Avvenire 16/2/2014, 16 febbraio 2014
L’ORO NERO DEL MESSICO FA ARRICCHIRE I NARCOS
È uno dei troppi dettagli su cui non soffermare a lungo lo sguardo. Gli abitanti del Tamaulipas, nel Nord-Est del Messico, conoscono fin troppo bene le regole. Hanno dovuto impararle: trasgredirle equivale a una condanna a morte. E, così, ogni volta che, lungo un condotto petrolifero, scorgono una “ordeña” (termine colloquiale per indicare una valvola), fanno finta di non vederla. Eppure quel marchingegno stona terribilmente con la sofisticata ragnatela di tubature targate Pemex.
Qui fluisce il greggio messicano, almeno fino a quando la riforma energetica – firmata a dicembre dal presidente Enrique Peña Nieto – non entrerà in vigore e il colosso petrolifero perderà il monopolio, dopo 76 anni, aprendo il mercato ai privati. Una buona percentuale dell’oro nero si “smarrisce”, però, per strada. In realtà, finisce oltre confine, in Texas, o nei vicini Guatemala, Salvador, Honduras per vie alternative. O meglio narco-vie. Attraverso le “ordeñas”: in media se ne conta una ogni 14 chilometri di tubo, per un totale di 2.614. E il dato riguarda solo quelle scoperte dalle forze dell’ordine nel 2013, il numero maggiore degli ultimi 13 anni: nel 2000 erano state poco più di un centinaio. Tanto che il dipartimento di sicurezza di Pemex ha definito il proprio reticolato, lungo quasi 38mila chilometri, «una gigantesca gruviera». Su chi sia stato a ridurla in questo stato esistono pochi dubbi.
Il furto di petrolio su vasta scala richiede tecnologia, infrastrutture e – non ultimo – una rete di connivenze da parte della polizia, della popolazione e dello stesso sistema di sorveglianza di Pemex. “Competenze” criminali che solo i narcos possiedono. E in abbondanza. È stato il gruppo dei Los Zetas – subito dopo la scissione dal cartello del Golfo nel 2009 – a trasformare una prassi di ruberie sporadiche in una macchina miliardaria, al ritmo di sette perforazioni clandestine in media al giorno. Ben presto, il loro esempio è stato seguito dagli ex alleati e ora rivali del Golfo, dalla banda di Sinaloa, dai Cavalieri Templari. Risultato: l’intera fascia petrolifera del Messico – in particolare Tamaulipas, Hidalgo, Veracruz, Jalisco, Sinaloa, Puebla, Tabasco – è diventata un campo di battaglia tra narcos per il controllo del greggio. Per il direttore generale, Emilio Lozoya, solo nel periodo da gennaio a settembre 2013 , Pemex ha perso almeno 1,15 miliardi di dollari di combustibile, circa l’1 per cento degli introiti legali. In cinque anni – ha ribadito il sottosegretario all’Energia, Enrique Ochoa Reza – sono stati bruciati quasi 5 miliardi. L’analista statunitense David Shields parla però di una cifra ancora maggiore: tra i due e i quattro miliardi all’anno. Soldi che entrano esentasse nelle tasche delle multinazionali del crimine. Queste ultime, come ogni altra impresa, negli ultimi anni, hanno “diversificato” le attività, cercando nuove fonti di business. I proventi dell’oro nero si sommano a quelli derivanti da traffici più “tradizionali”: cocaina, esseri umani, estorsioni. Una parte del petrolio estratto illegalmente viene venduto nel mercato locale. La quota maggiore, però, viene “esportata” negli Stati Uniti Uniti. Le inchieste giudiziarie lo dimostrano. Di recente, la polizia Usa ha accusato cinque società di Houston – tra cui la Continental Fuels – di ricettazione per aver acquistato petrolio rubato. Una di queste è finita di fronte alla corte federale a gennaio. Una precedente inchiesta, del 2011, aveva mostrato la forte capacità dei bande criminali di commercializzare in territorio statunitense il greggio trafugato. Quella volta finirono sotto inchiesta almeno dodici società. L’apertura ai privati del mercato energetico, ora, potrebbe rappresentare un’ulteriore occasione di business per i narcos. Molte aziende statunitensi hanno già avviato i primi contatti per trasferirsi a sud del Rio Bravo. I russi le hanno battute sul tempo: la compagnia Lukoil ha appena annunciato un’alleanza strategica con Pemez, lo scorso mese. Al di là, delle implicazioni economiche – che dipenderanno dalle norme attuative ancora in discussione –, secondo un recente studio elaborato dal gruppo specializzato Insight Crime, a preoccupare è l’impatto sulla sicurezza. Le nuove arrivate avrebbero una scarsa conoscenza del territorio e dei sistemi di sopravvivenza necessari per fronteggiare i narcos, abilissimi nell’approfittare della frammentazione. Oltre al fatto che per l’esercito sarebbe più complicato garantire l’incolumità degli impianti. Nel breve periodo, si prevede un ulteriore incremento dei “vigilantes” privati. Settore in cui Los Zetas e compagni sono ampiamente infiltrati.