Maria Pia Fusco, la Repubblica 17/2/2014, 17 febbraio 2014
IL MIO DISNEY, UN PIONIERE COME EDISON E SPIELBERG
[Tom Hanks]
«Alla sequenza finale, quando cantano “ L’aquilone”, piangevo da bambino e piangevo da adolescente. Sembrano tutti così felici, invece è un addio. Adesso, tutte le volte che rivedo Mary Poppins insieme ai miei figli — e saranno centinaia di volte, è uno dei loro film preferiti — cerco di trattenermi, ma vedo che si commuovono anche loro», ricorda Tom Hanks. Mary Poppins è al centro di Saving Mr. Banks, il film di John Lee Hancock, in uscita in Italia il 20 febbraio, che racconta l’incontro tumultuoso nel 1961 tra Walt Disney e P. L. Travers, l’autrice del romanzo sulla magica istitutrice della famiglia Banks: da vent’anni lui voleva i diritti del libro, da vent’anni lei glieli negava.
Tom Hanks interpreta Walt Disney: le difficoltà maggiori?
«La responsabilità di evocare un’icona dell’America, un’istituzione, un’immagine nota come quella dello Zio Sam. Posso farmi crescere i baffi e pettinarmi con la riga in mezzo, ma non avrò mai il suo aspetto o la sua voce. Sarebbe stato stupido tentare un’imitazione. Allora ho cercato di catturare l’entusiasmo, la grandiosa fantasia, l’eccitazione che lo animava quando parlava dei suoi progetti tentando di comunicare tutto questo al pubblico. Ma nel suo sguardo c’è una luce bizzarra, tra orgoglio e ottimismo, temo che il mio sguardo invece appaia sempre leggermente diabolico».
Come si è preparato?
«Fondamentale è stata la giornata trascorsa al Museo della famiglia a San Francisco. Diana Disney, la figlia, è stata molto gentile e generosa, mi ha mostrato tutto il materiale possibile, le interviste, Walt che disegna, che spiega ai suoi collaboratori come sviluppare un’idea visiva. Mi ha colpito la sua abitudine di esprimersi sempre con il “noi”, un modo di includere tutto e tutti nel suo lavoro, dai disegni animati alla produzione alla creazione dei parchi a tema. L’ho trovato buffo ma significativo della personalità».
Prima di Saving Mr. Banks che cosa sapeva di Walt Disney?
«Da bambino tra i miei giocattoli non c’era Topolino né altri suoi pupazzi, il mio “amico” era un astronauta di plastica, mi addormentavo con lui, sognavo di passeggiare con lui sulla Luna. Però vedevo i film Disney e ogni domenica sera aspettavo di vedere lui, Walt Disney che in tv raccontava il suo “meraviglioso mondo colorato”, presentava i suoi personaggi. Da adulto ho letto una sua biografia, molto interessante, ma non mi sono mai appassionato alle polemiche politiche che anni fa si sono accese su di lui, tra repubblicani e democratici, mi sembravano sterili da una parte e dall’altra. Ho scoperto davvero Disney con il film».
Che cosa ha scoperto?
«Era unico, Walt Disney non somigliava a nessuno. Era un narratore di storie, capace di disegnarle creando intorno ai personaggi mondi fantastici, ma nello stesso tempo era un produttore, un uomo d’affari molto attento al valore del denaro. All’epoca i produttori erano uomini d’affari, ma nessuno di loro conosceva, come Disney, l’intero processo creativo di un film, dall’idea allo schermo. Credo che anche nella Hollywood di oggi i produttori siano businessmen e basta. Non solo, Disney è stato anche un grande innovatore, fin dai primi anni, quando disegnava in un garage di Kansas City cercava sempre cose nuove, nuove sfide che rendessero l’animazione sempre più vicina alla realtà. Aveva la stessa curiosità e intelligenza visionaria di Spielberg, Orson Welles, Edison».
Conosceva le vicissitudini di Mary Poppins?
«No, le ho scoperte leggendo la sceneggiatura e il libro della Travers, né conoscevo il legame autobiografico della scrittrice con la storia. Il film è proprio sul loro rapporto, due settimane di fuoco. Dall’inizio alla fine si detestavano reciprocamente, lei era un’intellettuale, snob, odiava Hollywood, il cinema, soprattutto quello di Walt Disney e difendeva con tutte le sue forze il suo libro, la sua creatura. Lui intuiva perfettamente le opportunità, artistiche ed economiche, che potevano arrivare da un personaggio come Mary Poppins, lottavano come due cani davanti allo stesso osso. Non credo di aver mai interpretato nei miei film un rapporto uomo- donna così burrascoso e litigioso».
Secondo lei furono le ragioni economiche a convincere la Travers?
«Soltanto in parte, non credo che il bisogno di soldi avrebbe potuto placare il peso del passato, il senso di colpa e il dolore per la perdita di suo padre, ubriacone e pasticcione, ma per lei comunque una persona speciale. Credo che quando Walt le confidò, come nel film, lo stesso doloroso disagio vissuto alla morte del padre, si riuscì a stabilire una sintonia. Erano quelle le vere ragioni che spingevano Disney ad inseguire il film, non solo la voglia di accontentare le figlie innamorate del libro della Travers».
Com’è andato il rapporto con Emma Thompson interprete di P. L. Travers?
«Magnifico, è un’artista che non conosce limiti alle emozioni. Le parti più comiche del film sono dovute a lei, nei suoi incontri con il mio personaggio basta uno sguardo, un gesto di stizza, un tono di voce per sottolineare in modo esilarante le diversità e i pregiudizi dei britannici nei confronti dell’America e degli americani. Non so ancora come faccia, ma lavorare con lei è come giocare a football con Beckham».
Un suo ricordo di Philip Seymour Hoffman?
«Un talento straordinario, avrebbe potuto mostrarlo ancora tanto e a lungo. Per chi ha lavorato con lui la sua scomparsa è una grande tristezza. L’ho conosciuto sul set di La guerra di Charles Wilson, è stato un privilegio».