Piero Colaprico, la Repubblica 17/2/2014, 17 febbraio 2014
BOLLI, FOTOGRAFIE, CERTIFICATI L’ODISSEA DI MIO FRATELLO IN COMA
Perdere la salute. E perdere anche i diritti più semplici, come quello della propria identità. È molto facile diventare una cittadino dimezzato quando si entra in quel territorio chiamato «stato vegetativo». È quello che è successo a Danilo Bifulco, impiegato di banca, 56 anni. Una storia che viene raccontata da sua sorella Lavinia, docente di sociologia alla Bicocca: «Sono diventata il suo “amministratore di sostegno” e, come prevede la legge, mi dovrei occupare di tutto quello che riguarda mio fratello, facendo come se fossi lui. Invece m’imbatto in situazioni sconcertanti e vedo come il potere di noi cittadini sia compresso di continuo da poteri più forti. Non le dico con le varie società dei telefoni, con le bollette eccetera, ma adesso siamo all’assurdo. All’Unicredit di piazza Cordusio minacciano di chiudere il conto perché la posizione di Danilo non è in regola con le norme anti-riciclaggio».
Già, qui bisogna fermarsi un attimo a riflettere: una persona in stato vegetativo è, ha stabilito la scienza medica, del tutto «scollegata » dal mondo esterno. C’è a volte chi parla di “risvegli”, ma di questi risvegli - bisognerebbe evitare di confondere lo stato vegetativo con il coma - non c’è traccia materiale. In ogni caso, ma come potrebbe una persona in stato vegetativo commettere un reato? Come può fare riciclaggio? Alla banca non interessa: «Ho parlato con una funzionaria, poi, dopo due settimane d’attesa, ma eravamo sotto Natale, con il direttore. E m’hanno detto che il conto corrente così com’è è irregolare e va chiuso. Se no, devo portare un documento d’identità di mio fratello. Il quale lavorava proprio lì, in quella stessa banca...».
Vinta dalla burocrazia, la signora Lavinia Bifulco affronta dunque la questione carta d’identità. Il fratello è ricoverato a Milano, in una struttura d’eccellenza, che cerca di alleviare anche i parenti da alcune “pratiche” burocratiche. E là, porta le foto tessera
di Danilo, ma sono in bianco e nero. L’ufficio anagrafe del Comune di Milano, città dove esistono sia il Registro delle unione civili sia il Registro con le volontà sul fine vita, le respinge: ci vogliono, viene detto, immagini a colori. La signora si rivolge ad un laboratorio fotografico e le fa, appunto, colorare. Non vanno bene nemmeno quelle: ci vuole il fondo chiaro, e poi sono “datate”.
Perché il tono della sorella di Danilo Bifulco resti inalterato serve uno sforzo di volontà: «All’inizio mi sono rifiutata di fotografare Danilo nelle sue condizioni attuali. Mi sembrava tutto surreale. Avrei voluto urlare dall’esasperazione. Adesso all’istituto hanno chiamato un loro fotografo... ». Prima o poi, forse, si riuscirà a venirne a capo, ma «mi sono fatta l’idea che c’è tanta retorica, tanto riempirsi la bocca di paroloni. Oggi come oggi - sostiene la signora - la figura dell’amministratore di sostegno è debolissima. Si hanno poteri limitati, tanto più limitati quanto l’interlocutore, come la banca o il Comune, è forte. Il giudice tutelare dice che non c’è nemmeno bisogno di nuovi documenti per la banca, ma sinora non sono riuscita a spuntarla...», conclude la signora Lavinia.
Sin qui la storia, così com’è nella sua semplice e terrificante quotidianità. C’è il bisogno giornalistico, politico, sociale, persino forse religioso, di aggiungere non un commento, ma un corollario: sono passati poco più di cinque anni dalla morte di Eluana Englaro, rimasta in stato vegetativo per diciassette anni. Di lei hanno scritto l’inimmaginabile, che «sorrideva», o «deglutiva da sola», quando l’autopsia ha certificato senza ombra di dubbio l’atrofia del cervello, i polmoni «vetrificati », il totale scollegamento con il mondo esterno: una non-vita, o una non-morte. Il padre Beppino, che aveva fatto ricorso alla magistratura perché la figlia fosse lasciata spegnersi in pace, è stato talvolta chiamato «assassino ». Mentre Eluana moriva, e Silvio Berlusconi assicurava seriamente che «può restare incinta», il centrodestra stava approvando in fretta e furia una legge sul fine vita, «indispensabile» per il Paese. Cinque anni dopo, c’è un letto, nella periferia Nord di Milano, con il signor Danilo, precipitato in stato vegetativo dopo un arresto cardiaco. Un uomo diventato, da un giorno con l’altro, come capita ad altre centinaia di persone nel suo stato, un «essere indifeso »: nessuna legge l’ha aiutato, anzi è finito pure nelle pigre mani dei burocrati.