Chiara Vanzetto, Corriere della Sera 17/2/2014, 17 febbraio 2014
TELI DI COTONE, COLLA ANIMALE, CHIODI: COSÌ SALVO I CAPOLAVORI
Mantovano, classe 1931, stirpe di falegnami. Diploma all’istituto d’arte, e poi la scelta di dedicarsi a curare i dipinti. Non pittore ma restauratore, specializzato nell’affrontare i problemi della pittura murale. Ottorino Nonfarmale, il più noto e apprezzato tra gli «estrattori» italiani attuali, è diventato così depositario di rari saperi artigianali, ricercatore, alchimista, chiamato al capezzale dei malati dell’arte in tutto il mondo.
Diretto collaboratore di studiosi come Longhi, Gnudi, Argan, Brandi, Emiliani, ha messo letteralmente le mani su capolavori proverbiali: dal Veronese di Villa Maser al Mantegna degli Eremitani, da Piero della Francesca di Rimini ai Carracci di Palazzo Fava a Bologna, dal Giandomenico Tiepolo di Ca’ Rezzonico al ciclo ferrarese di Schifanoia. Il top per raccontare come avviene il salvataggio di un dipinto murale in pericolo. «È sempre un’operazione molto complessa, da discutere con gli storici dell’arte nei dettagli. Ogni caso fa a sé, per la tecnica e i materiali con cui il dipinto è stato eseguito e per le ragioni del suo degrado: terremoti, umidità, instabilità dei muri, solfatazioni».
Se e quando si stabilisce di intervenire, esistono tre metodi possibili: il «massello», ossia l’asporto del dipinto insieme al suo supporto murario, lo «strappo», cioè l’estrazione della sola pellicola di colore in uno strato sottile, oppure lo «stacco», prelievo del colore con un velo di intonaco sottostante. È questa la pratica più diffusa ed è quella che Nonfarmale descrive, sintetizzando le principali fasi di lavoro nel caso di un «normale» affresco.
Dopo aver pulito il muro, vi si stendono dal basso verso l’alto teli di cotone imbevuti di colla animale. «La migliore è quella di nervi, non di ossa: va sciolta a bagno maria, bisogna sentire la giusta densità con le dita».
Dopo l’asciugatura (da uno a tre giorni, dipende da stagione e clima, l’umidità dell’ambiente si misura con specifici termoigrometri), si applica un secondo strato di tela che deve asciugare a sua volta: importante che siano perfettamente aderenti alla superficie dipinta, senza bolle d’aria che causerebbero carenze. «Poi si procede allo stacco, sempre dal basso verso l’alto, fase delicatissima, decidendo di volta in volta quanto intonaco tenere e pulendo il retro della pittura. Si può staccare arrotolandola su un rullo oppure diritta, a bandiera». Il dipinto staccato si appoggia su un tavolato di legno con la superficie pittorica verso l’alto. Di nuovo applicazione di strisce di cotone e poi di canapa in senso diverso, pennellate questa volta di caseato di calcio. Una sorta di sandwich con la pellicola pittorica in mezzo. Questa volta anche inchiodato al tavolato, perché mentre asciuga il tessuto si tende e bisogna mantenere le misure perfette. Due settimane circa. Nel frattempo si prepara il telaio su misura.
«Una volta erano in legno, oggi in alluminio, mantengono una perfetta reversibilità. Un sottile strato di polistirolo può essere utile come isolante» continua l’esperto, che sul tema dei supporti ha fatto ricerca e portato innovazioni. In ultimo la lavatura delle colle con spugne e acqua bollente, l’asportazione delle telette, il posizionamento nel telaio e siamo pronti per il restauro pittorico vero e proprio.
«Tutte operazioni da eseguire con calma, studiando di volta in volta ogni particolare, con responsabilità. Eventuali danni sono irreversibili, anche se oggi capitano di rado: esperienza e materiali moderni permettono di star tranquilli», conclude Nonfarmale, che per parecchi anni ha insegnato restauro all’Accademia di Belle Arti di Bologna e continua a esercitare nei più importanti cantieri. «Sono molto contento del mio lavoro. A volte sono stanco, ma stufo mai» .
Chiara Vanzetto