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 2014  febbraio 17 Lunedì calendario

IL FALLIMENTO DEI BABY BOOMER LA GENERAZIONE RIMASTA ALL’INFANZIA


Un mondo di Lolite settantenni e di Peter Pan incanutiti. Una confusione biologica da far girare la testa e che compromette la naturale trasmissione delle responsabilità da una generazione all’altra. L’adulto che ci manca (Cittadella), il nuovo saggio del teologo Armando Matteo, intervistato ieri sull’Avvenire da Roberto I. Zanini, è un grido d’allarme. Gli adulti sono immaturi, eterni adolescenti fieri della loro presunta, intramontabile giovinezza. Matteo ne individua le origini nei baby boomer (i nati dal 1946 al 1964): secondo un suggerimento del sociologo Zygmunt Bauman, «la generazione che in pochi anni è passata dall’avere nulla all’avere tutto, attraverso cambiamenti tecnologici e culturali che, oltre che allungare l’aspettativa di vita, hanno prodotto un senso di fiducia nel fare e di euforia nel vivere la propria giovinezza che ha finito per incarnarsi nel mito del giovanilismo a tutti i costi».
In realtà si tratta di quel «puerismo» in cui negli anni Trenta del ’900 lo storico olandese Johan Huizinga intravedeva una delle ragioni della crisi della civiltà che portò ai totalitarismi: «La permanente pubertà si distingue per una mancanza di dignità personale, di rispetto verso gli altri e le altrui opinioni, per una eccessiva concentrazione sulla propria personalità». È dunque una questione che trascende la sfera privata.
Non è difficile individuare in questi elementi (spudoratezza, irresponsabilità, narcisismo autistico) i tratti più visibili di alcune personalità politiche attuali. Sono più o meno gli stessi che segnala Francesco Cataluccio nel suo Immaturità , un bel saggio sulla «malattia del nostro secolo», che verrà ripubblicato in marzo da Einaudi. «Cari adulti, ma quando crescete?» è, più che la domanda, l’invocazione di Matteo. Il quale ovviamente amplia il suo discorso verso la necessità di una nuova evangelizzazione dell’«adultità» che non lasci orfani (di modelli, di esempi, di educazione) i propri figli: «I bambini — ha scritto Milan Kundera — non sono l’avvenire perché un giorno saranno adulti; ma perché l’umanità si avvicina sempre più a loro, perché l’infanzia è l’immagine dell’avvenire».
Paolo Di Stefano