Stefano Righi, Corriere Economia 17/2/2014, 17 febbraio 2014
BAD BANK – [LA VIA ITALIANA PASSA (SOLO) DAI PRIVATI]
Ma quale Bad bank ? Quei tempi sono passati mentre in Italia eravamo distratti da altri pensieri. La Spagna ha portato a casa 40 miliardi dall’Unione europea nell’ambito del piano Salva-stati. Noi, al solito, siamo rimasti a guardare e adesso la Bad bank dobbiamo farcela da soli, privatamente. Unicredit e Intesa hanno già iniziato i lavori». Il banchiere che si confida con Corriere Economia non usa mezzi termini. Ma il suo sfogo non è solo una difesa della categoria («in Italia le banche non sono state aiutate dalla politica e i Monti bond di Mps pagano allo Stato il 9 per cento di interesse annuo»), serve anche a focalizzare il problema di maggiore attualità nel mondo creditizio: come liberare capitale e risorse (anche umane) a favore dei nuovi investimenti. Insomma, chiudere le partite che si stanno perdendo e iniziarne rapidamente delle altre. Magari da giocare con maggiore attenzione. Per farlo però servono capitali, perché le perdite a bilancio sono concrete e tangibili per tutti, 155 miliardi di crediti in sofferenza e qui arriva il difficile: non ci sono soldi.
Le scelte degli altri
La Bad bank è un’altra cosa rispetto a quello che sta avvenendo in Italia in queste settimane. Gli esempi più chiari sono riportati a fianco. Negli Stati Uniti la Federal Reserve intervenne subito, nel 2008, per porre argine al disastro di Lehman Brothers. L’istituto centrale americano comperò a prezzo stracciato i titoli tossici in portafoglio alle banche e si mise alla finestra ad aspettare. Le banche contabilizzarono subito una perdita secca e ripresero a fare il loro lavoro. Dopo un paio d’anni, cambiato il clima, la Fed ha rivenduto sul mercato le sue attività ex-tossiche, ricavando una discreta plusvalenza. Operazioni simili si sono realizzate con soldi pubblici a Madrid come a Londra.
In Italia partiamo adesso e disponibilità pubbliche non ce ne sono. Il ribaltamento di governo in corso non depone poi a favore di una immediata sensibilità nei confronti di un problema così tecnico e impopolare, benché fondante. Così le banche si stanno attrezzando a fare da sole, o in gruppo.
Pochi e subito
Federico Ghizzoni, ceo di Unicredit, ha detto che le mosse del suo gruppo saranno pubbliche a giugno. Avvallando così l’ipotesi di gestione aggregata, con il fondo Kkr e l’altra grande banca italiana, Intesa Sanpaolo, per creare un contenitore a cui apportare parte dei crediti inesigibili che gravano sui due istituti. Un veicolo terzo, esterno alle banche, dove porre i Non performing loan , i prestiti inesigibili, in modo da alleggerire i bilanci degli istituti. Parallelamente Unicredit ha già iniziato a cedere sul mercato parte di questi prestiti e al problema sta lavorando anche Carlo Messina, ceo di Intesa Sanpaolo, nell’ambito dell’elaborazione del piano industriale del gruppo. Per ora si procede con le cartolarizzazioni. Ovvero si cedono, a frazioni del nominale, crediti in sofferenza a società terze. Si incassa poco, ma ci si libera subito del problema, lasciando ad altri il tentativo di recuperare quanto possibile. Allineati all’antico adagio: pochi, maledetti e subito.
Iniziative
Mediobanca sta mettendo a punto un veicolo finanziario per risolvere il problema dei crediti non performanti in seno a molte banche di medio-piccola dimensione. In Piazzetta Cuccia pensano soprattutto alle popolari, quotate e non. Su quello che sta profilandosi come un possibile mercato di una certa rilevanza nei prossimi mesi, si pone anche Fonspa, il vecchio credito Fondiario acquisito nell’ottobre scorso da Tages Holding e Harvest Investment partners, che ha Piero Gnudi come presidente e Guido Lombardo amministratore delegato. Per tutti un problema in comune: quanto valgono 100 euro di crediti in sofferenza? La risposta è legata all’evolversi del ciclo economico, ma stabilire un valore oggi, mediando tra diverse tipologie di valutazione dei crediti, è il problema più urgente e più complesso da risolvere. L’urgenza con cui agì la Fed nel 2008 non si addice al passo felpato degli italiani. Ma la lentezza della ripresa economica (alle spalle abbiamo messo il primo trimestre di crescita dopo nove trimestri di calo consecutivo) lascia poche possibilità alternative.
@Righist