Stefano Folli, Il Sole 24 Ore 17/2/2014, 17 febbraio 2014
LA PARTENZA E I DUBBI QUATTRO NODI DA CHIARIRE
Stamane comincia dunque l’era di Matteo Renzi. Se sarà lunga o effimera, destinata a cambiare l’Italia o a risolversi in un mero gioco di potere, non lo sappiamo. Quel che sappiamo è che Giorgio Napolitano non metterà vincoli temporali al giovane incaricato, non gli chiederà di affrettarsi per essere fedele al suo personaggio "veni, vidi, vici". Gli chiederà semmai di lavorare intorno a pochi ma essenziali punti di programma, in modo da costruirvi intorno una cornice politica credibile, senza farsi risucchiare nella famosa palude. Quella palude che Renzi vede come pericolo, ma che ora è costretto ad attraversare.
In ogni caso non ci sono ostacoli insuperabili sulla via del sindaco, tali da bloccare la sua ascesa; però ce ne sono abbastanza per determinare il profilo del governo e il suo spessore politico. Perché quando l’incaricato tornerà al Quirinale con la lista dei ministri, forse tra mercoledì e giovedì, non è detto che sarà riuscito a sciogliere tutti i nodi. Alcuni potrebbero essere stati solo accantonati o aggirati, con quel tanto di ambiguità che finora è l’impronta della fase politica in cui stiamo entrando.
Proviamo a riassumere i punti in attesa di chiarimento.
1) Il primo riguarda, come è ormai noto, il rapporto con Alfano e il suo partito di centro. È questione tipica di ogni trattativa. Il governo è fondato su una coalizione, la stessa a cui si era affidato Enrico Letta. Renzi talvolta ragiona come se si preparasse a guidare un monocolore, un governo a forte «vocazione maggioritaria». Ma non è così e quindi non ha molto senso gridare «nessuno mi metterà le briglie...». Se il Nuovo Centrodestra sarà decisivo a Palazzo Madama, dato il sistema bicamerale che non è stato ancora riformato, difficile rispondere «no» alle richieste di Alfano, specie se riguarderanno tre ministeri di peso.
2) C’è tuttavia un "non detto" nella posizione di Alfano, testimoniata dal duro scambio polemico fra lui e Berlusconi nelle ultime ore. È come se i centristi temessero un legame di potere sotterraneo ma tenace fra Renzi e il capo di Forza Italia. Un legame di cui si conosce la punta (l’accordo sulla legge elettorale e sul "pacchetto" delle riforme costituzionali), ma non il resto. E che potrebbe anche contenere qualche risvolto scomodo: per esempio la volontà di dare una mano a Renzi in Parlamento, in vista di rendere meno cruciale o addirittura ininfluente la posizione degli alfaniani. Se n’è scritto e sono arrivate le smentite. Se qualcuno ci ha pensato, è arduo credere che il progetto sia oggi in grado di andare in porto. È vero tuttavia che esiste una zona grigia. Da un lato la "maggioranza per le riforme" sottoscritta da Renzi con Berlusconi; dall’altro la "maggioranza per il governo" che esclude Berlusconi e ha in Renzi il nuovo punto di riferimento. I due piani tendono a incrociarsi e l’esito non è del tutto prevedibile.
3) La legge elettorale. È essenziale per dare senso al rinnovamento, ma si lega al complesso delle riforme, fra cui quella molto importante che ridefinisce i compiti del Senato. Per Renzi il modello maggioritario equivale ad avere alla cintura una pistola carica, perché potrebbe minacciare lo scioglimento delle Camere di fronte alle difficoltà quotidiane. Viceversa oggi la pistola è scarica perché elezioni fatte con il proporzionale imposto dalla Corte Costituzionale sarebbero un fallimento proprio del progetto Renzi. 4) Le priorità. È evidente che il governo Renzi dovrà darsi come obiettivo prioritario la ripresa della crescita economica. Ma dovrà collocarla, almeno in partenza, nel quadro europeo e nei vincoli che ne derivano. Riuscire a conciliare i due aspetti sarà la prova di maturità del nuovo premier e il segno del suo governo. Della legge elettorale potrà occuparsi il Parlamento, ma sulla politica economica dovrà impegnarsi il presidente del Consiglio senza intermediari. Ecco perché la scelta del responsabile di via XX Settembre è la più qualificante.