Stefano Elli, Il Sole 24 Ore 17/2/2014, 17 febbraio 2014
DALLA BORRACCIA AL TRUST, COSÌ SCAPPAVANO I SOLDI
C’è il principe del foro sanmarinese che, parlando al telefono (intercettato), suggerisce di riporre i contanti destinati all’esportazione clandestina nella biancheria intima. E c’è il bancario che, al cronista che finge di avere un milione di euro da depositare a San Marino, offre un servizio chiavi in mano: ritiro a domicilio, vettura con targa sanmarinese e scorta di due persone. Ci sono persino le gare ciclistiche con spalloni in caschetto, tute tecniche e rotoli di banconote da 500 stipati nelle borracce con controparti in attesa del "rifornimento" oltre frontiera.
Sulle intercettazioni di contante ai valichi di confine italo-svizzeri, da Brogeda a Ponte Chiasso, sino a Gandria, sulla via verso Porlezza, i finanzieri e gli uomini della agenzia delle Dogane di Como hanno un’aneddotica vasta e amena. Narrano di denaro occultato in pannolini di pargoli urlanti, distinte e attempate signore con anomali rigonfiamenti ventrali, cinture Gibaud, tasche cucite all’interno dei pantaloni.
Da quando crisi di liquidità e credit crunch attanagliano le piccole imprese (soprattutto) del Nord Italia, il bisogno di ripatrimonializzare l’azienda o di ripagare fornitori e banche rende necessari i viaggi all’indietro. E così è cresciuto il fenomeno dei soldi bloccati in ingresso verso l’Italia. Ma quella che viene scovata con l’evasione al dettaglio non è che la sfarinatura, il minuto mantenimento del "renitente al fisco". Quello delle grandi cifre viaggia su ben altri canali. Il percorso lussemburghese, che ha portato gli stilisti Dolce e Gabbana a costituire una società nel granducato, la Gado Sarl: è finito con una condanna in secondo grado per evasione fiscale e al pagamento di 343,4 milioni di multa (più interessi). Prada, la griffe di Patrizio Bertelli, ha scelto la strada della resa incondizionata al Fisco, operando per una voluntary disclosure prima ancora che entrasse in vigore il decreto legge che la istituiva (il decreto legge 4/2014).
Ma da sempre i magistrati, Guardia di Finanza in testa, faticano a orientarsi nel ginepraio di paradisi fiscali e penali. Non senza sorprese. Un’inchiesta della magistratura di Belluno su una società del faccendiere Gianpiero Addis Melaiu, che raccoglieva (e sottraeva) denaro agli investitori del Nord-Est, ha portato alla scoperta di due circostanze anomale: da una parte, che la fitta rete di società su cui si suppone sia finito il denaro fosse domiciliata nel Delaware e nel Nevada; dall’altra, il fatto che alle rogatorie inviate a Russia, Danimarca e Gran Bretagna i più lesti a rispondere siano stati i russi e i danesi. Dai compassati inglesi nessuna notizia.
Ma l’ultima moda in fatto di schermature finanziarie è il trust, istituto di diritto anglosassone, con una sua storia dignitosissima di gestione di patrimoni di grandi famiglie. Questo istituto ha fatto il suo ingresso ufficiale nella galleria delle frodi fiscali e no, allorché si è scoperto che i responsabili del crack Deiulemar (800 milioni spariti e 1.500 risparmiatori coinvolti) lo avevano scelto per tentare di depistare creditori e inquirenti. Tre i trust utilizzati: Bigei, Arcobaleno e Marco Polo. E uno di questi (il Bigei) deteneva il controllo di una società basata a Madeira, la Prothinny. E qualche "infortunio" può infine capitare tra i fiduciari svizzeri: il fermo di uno di loro, Fabrizio Pessina, all’aeroporto della Malpensa ha portato tempo fa al sequestro di un notebook contenente parecchi nomi di investitori italiani.