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 2014  febbraio 16 Domenica calendario

QUANDO GUCCINI DISSE: MI PIACE NILLA PIZZI


Il Festival di Sanremo cominciò come Festival della canzone, poi dalla canzone si passò al cantante, ora c’è la tendenza a imporre il personaggio: lo chiamano look. A me pare che per certi aspetti ricordi di più il circo. Ne parliamo con Lucio Dalla, Francesco De Gregori, Fabrizio De André, Francesco Guccini e Pino Daniele.
Lucio Dalla, per lei è utile questo festival di Sanremo?
Per me più che utile è stato molto utile. La prima volta che vi ho partecipato è stato nel 1966 con la canzone Pafff... bum!, mi sono tanto divertito, è stato un grande gioco, perché ero sicuro che in seguito non avrei fatto questo lavoro. Nel 1967 ci fu una tragedia con il fatto di Tenco, eravamo molto amici collaboravamo, eravamo arrivati insieme a Sanremo e in albergo avevamo le stanze vicine, ne ho un ricordo terribile, tutto è passato in secondo piano anche la finale con Bisogna saper perdere. Nel 1971 invece ci fu la svolta, andai con Gesù Bambino, 4 marzo 1943, non vinsi, fui contento di non vincere, la gente cominciò a conoscermi, di quella canzone si vendettero molti dischi. Infine nel 1972 con Piazza Grande, dopo quel Festival decisi che non avrei più fatto Sanremo perché ero in polemica, forse anche ridicola, con quel mondo lì. In generale ho un ricordo piacevole.
Dalla, cosa era accaduto?
Volevano che la canzone avesse un altro interprete, poi il titolo non andava bene, nulla che valga la pena di ricordare.
Francesco De Gregori, lei cosa pensa di Sanremo?
Bisogna avere il coraggio di essere un po’ critici anche con Sanremo, nel senso che è una passerella di canzoni concepita come una gara e ciò è già abbastanza fastidioso. Poi non credo che questo evento annuale riesca a riassumere il meglio della produzione della canzone italiana di oggi. La musica che poi ha pesato di più sul piano del mercato negli ultimi dieci anni non è quella che è passata per il canale di Sanremo.
Fabrizio De André, qual è la sua opinione?
Se si trattasse di una gara di ugole e ancorché io pensassi di essere attrezzato per riuscire a fronteggiare ugole sicuramente migliori della mia, se si trattasse di un fatto di corde vocali il Festival di Sanremo lo si potrebbe considerare come una competizione sportiva, perché le corde vocali sono pur sempre dei muscoli. Nel caso mio dovrei andare a esprimere i miei sentimenti o la tecnica attraverso la quale io riesco a esprimere i sentimenti che provo dentro di me e che riesco a mettere in musica, credo che questo non possa essere argomento di competizione.
Lucio Dalla, ha poc’anzi ricordato le sue quattro partecipazioni al Festival, che cosa trova di interessante in Sanremo?
Mi interessa il rapporto di socialità che Sanremo crea. Il fatto che 25 milioni di italiani si paralizzino per i giorni della manifestazione e non facciano altro che parlarne, che lo considerino innanzitutto come un’istituzione, che diventino per Sanremo anche leggermente violenti, sì perché tutti quanti, non solo gli addetti ai lavori, compiono un po’ quell’azione nefasta che è il gioco al massacro nei confronti del cantante che fa una brutta figura. Ritengo che Sanremo sia l’unione delle coscienze non pensanti. Sapere che in quel momento milioni di italiani si mettono di fronte alla tv, divertendosi o meno, comunque assistono al fatto, mi colpisce molto. Sanremo per il popolo italiano è un po’ come la Nazionale di calcio.
Francesco Guccini, da cosa nascono le sue canzoni?
Le canzoni possono nascere da tante cose, ad esempio da fatti che possono essere di cronaca o di quotidianità, oppure da esperienze personali, da sensazioni, qualunque cosa che valga la pena di essere raccontata.
Che cosa si può dire con una canzone?
Con una canzone si possono innanzitutto ricordare degli avvenimenti in modo che questi rimangano, una specie di cronaca riaffermata, oppure si possono suggerire delle cose, non dare dei messaggi, perché chi dà messaggi ha il sospetto di avere la verità, cosa che è difficilissima...
Oppure di fare il postino.
Appunto, invece può essere semplicemente il modo per raccontare il proprio punto di vista sulla realtà, dire la propria opinione su un certo argomento o su una certa persona.
Guccini, perché lei non è mai andato a Sanremo?
Di canzoni ce ne possono essere di tutti tipi e di tutti i colori, il genere di canzoni che faccio io non si presta per Sanremo. Direi che è un fatto reciproco: io non voglio Sanremo e Sanremo non vuole me. Il sottoscritto e Sanremo sono due mondi abbastanza diversi o due sistemi di comunicazione molto diversi.
Di tutte le canzoni presentate a Sanremo: da Grazie dei fior, venendo giù giù, ce n’è una che lei sceglierebbe, che adotterebbe?
Precisamente non ricordo, forse diverse, perché se anche non è la canzone del genere che posso fare io, Sanremo rappresenta un fatto di costume e le canzoni rimangono, canto ancora con divertimento Grazie dei fior, o un’altra canzone sempre di Nilla Pizzi: Vola colomba. Conosco moltissime canzoni di Sanremo. Ero un ragazzino quando queste canzoni venivano ascoltate in casa dietro a una monumentale Radio Marelli. Ricordo benissimo quando si passò ad ascoltarle alla televisione del bar sotto casa. Sono fatti che rappresentano il costume italiano, episodi che, bene o male, rimangono nella vita di una nazione e della gente.
Pino Daniele, che rapporto c’è tra la sua musica e i classici della canzone napoletana.
Il sentimento. Credo che il sentimento anche nella musica nuova, quella che si fa oggi a Napoli è simile al sentimento che si è sempre fatto nella canzone napoletana. Cambiano le forme, i modi, ma il sentimento è lo stesso.
La canzone per lei è un modo di vivere o per vivere?
Per me è qualcosa per vivere, è l’espressione dello stato d’animo di certi momenti, la possibilità di poter dire quello che si pensa e che a volte non si riesce a dire con le parole.
Tra i due festival, quello di Napoli e quello di Sanremo, lei quale preferisce o quale avrebbe preferito?
Io non amo molto la gara, ma amo i festival, se non ci fosse stata la gara avrei fatto tutti e due.
26 gennaio 1967 a Sanremo c’è anche Luigi Tenco e quando viene il momento delle classifiche si accorge di essere arrivato al quartultimo posto: le giurie su 900 voti a lui ne danno solo 38. Va in albergo e decide di farla finita, ma prima di chiudere un’esistenza per tanti aspetti geniale, scrive questo biglietto: “Ho voluto bene al pubblico italiano e gli ho dedicato cinque anni della mia vita, faccio questo non perché sono stanco della vita tutt’altro, ma come un atto di protesta contro un pubblico che manda Io tu e le rose in finale e una commissione che seleziona La rivoluzione. Spero che serva a chiarire le idee a qualcuno. Ciao. Luigi”.
Francesco De Gregori, a questa vicenda ha dedicato una canzone: “Festival”.
Tenco scriveva canzoni che mi piacevano, allora ero ancora un ascoltatore di musica non un suo collega, poi perché l’episodio fu traumatico e mi colpì. Tenco lasciò quella motivazione, che lei ha letto, dove stava scritto che si suicidava per protesta contro un certo modo di proporre la musica, anche questo mi colpì. Quando diventai anch’io un musicista queste contraddizioni le toccai direttamente, mi sembrò doveroso ricordare questo cantante, che io non ho conosciuto, ma che se lo avessi conosciuto forse sarebbe diventato un mio amico.
Fabrizio De André, il suo ricordo.
Quando si mettono in gioco, in gara, in competizione i propri sentimenti a cui si crede, si può correre il rischio di avere delle reazioni, magari esageratamente dilatate, di fronte a una eventuale sconfitta più morale che professionale. Anche questa tragedia ha contribuito al mio no, in ogni caso, a Sanremo.
Con le sue canzoni cosa vuole esprimere?
Prima di tutto ho cercato di essere un uomo, avrei potuto esprimermi attraverso altre cose, ad esempio la coltivazione dei fiori se fossi vissuto ad Albenga, oppure avrei potuto fare l’allevatore di vacche, se i miei avessero mantenuto una fattoria, mi è capitato di fare il cantautore, diventare un artista ti impedisce di diventare uomo in modo normale. Credo che a questo punto della mia vita devo cercare di recuperare il tempo perduto a fare l’artista per fare l’uomo.
De André, si capisce un paese più attraverso le sue canzoni che con i saggi degli specialisti: Vienna è il valzer, Parigi è il valzer musette, l’America è Louis Armstrong, l’Inghilterra è i Beatles. La canzone aiuta a vivere, ma una vita da cantante riesce a rendere ragionevolmente felice un uomo?
Per quanto mi riguarda non riesco mai a vivere in modo sereno e oggettivo il mio impatto con la vita, lo vivo sempre in funzione di quello che la vita mi suggerisce per poter scrivere qualche cosa. Credo che la sintesi migliore sulla vita l’abbia data Pirandello: “C’è chi la vive e c’è chi la scrive”. A me, sino ad ora, è capitato soprattutto di scriverla, l’ho vissuta un po’ troppo poco, ho ancora molta voglia di viverla. Spero che sia rimasto tempo sufficiente.