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 2014  febbraio 16 Domenica calendario

DA TOGLIATTI A BERLINGUER I DIARI SEGRETI DELL’UNITA’


Novant’anni lo scorso 12 febbraio, l’Unità fondata da Antonio Gramsci non è mai stata solo un giornale. È “l’organo centrale del partito”, come lo chiamano al Pci. Partito e giornale, militanza e informazione realizzano un equilibrio difficile. Quella che segue è – per brevi flash, suggestioni e qualche minuzia scavati nell’archivio del Pci all’Istituto Gramsci – la storia di quel rapporto: dalla compattezza d’acciaio del Dopoguerra ai segnali di sfaldamento degli anni Settanta e Ottanta. La storia di quel giornale, d’altronde, è un bel pezzo di quella della Repubblica.
ORGANO CENTRALE. Nel marzo 1944 l’Agitprop chiarisce una cosetta al Comitato federale dell’Umbria: “L’Unità è il titolo dell’organo centrale del partito e non è opportuno – se voi conservate lo stesso titolo – chiamarlo ‘organo umbro del pc’ (...) Questo perché è bene che l’Unità resti una sola anche se con parecchie edizioni”. Suggerimenti dell’Agitprop: l’edizione umbra deve contenere tutti gli articoli importanti nell’edizione centrale. Deve riportare fedelmente la linea. Deve avere in prima pagina tutti gli articoli della prima nazionale. Sulla seconda, semmai, si possono inserire notizie regionali.
INTELLETTUALI. Il 7 ottobre 1945 Palmiro Togliatti scrive a Elio Vittorini. L’Unità di Roma, il 12 settembre precedente, ha stroncato Uomini e no, primo romanzo sulla Resistenza di Vittorini. Il Migliore, tornato in Italia da due anni, rassicura l’autore: “Da tempo avevo in mente di scriverti queste due righe, ma forse, con molto lavoro, non sarei riuscito a farlo, e non l’avrei fatto se non fosse stato di quella disgraziatissima recensione apparsa su l’Unità di Roma. Non voglio che tu possa credermi in nessun modo solidale o anche solo tacitamente consenziente con quello scritto, che mi è costato invece un’arrabbiatura di più tra tutte quelle che mi procura il nostro quotidiano romano”. Assicura: “Il tuo libro mi pare veramente un’o p e ra d’arte certo la migliore ch’è venuta nelle mie mani da quando sono tornato nel mio paese”. L’11 marzo 1950 lo storico Ambrogio Donini scrive a Mario Socrate, della direzione del Pci, in merito a La lunga notte di Medea di Corrado Alvaro. È una critica feroce alla recensione entusiasta fatta da l’Unità: “So già che non gioverebbe a nessuno dire alcune dure verità alla Pavlova (...) Che quando corre 17 volte avanti e indietro dalla scena per esprimere ‘l’attesa gelosa’, e poi si rotola per tre volte per terra per esprimere ‘l’a m o re t ra d i to’, non ci fa ricordare di Corinto ma, salvando il rispetto, di Troia. (...) Un testo da prima liceale (...). Mi pare che Alvaro abbia compiuto un’altra delle sue brutte azioni. (...) Ho lasciato il teatro deluso e disgustato. Poi ho letto Euripide e ho dormito benissimo”.
UGOLINI E L’ALBERGO SBAGLIATO. Nel settembre 1947 scrive a Togliatti Amedeo Ugolini: è stato direttore de l’Unità di Torino e nel direttivo del Cln piemontese. In quell’anno è inviato del giornale a Mosca. Viene alloggiato all’Hotel Lux che, a dispetto del nome, è in realtà il luogo che i sovietici adoperano per tenere d’occhio spie e dissidenti: “Dopo circa due settimane dal mio arrivo a Mosca Scevgliaghin (del Comitato Centrale, ndr) mi avvertiva di essere indispensabile il mio immediato trasferimento all’Hotel Metropole essendosi rilevata l’inopportunità che il corrispondente di un giornale legale italiano risiedesse all’hotel Lux”, scrive a Togliatti. “Il telefonista de l’Unità a nome di Amerigo Terenzi (direttore generale Editrice l’Unità, ndr) mi ingiungeva perentoriamente di lasciare il Metropole e di tornare al Lux”. Gli mandano 5.000 rubli e una lettera di Terenzi “che diceva che il partito non poteva concedermi un suppletivo comfort e mi invitava a tornare al Lux”. Ugolini è ferito dalla lettera e dal fatto che nelle redazioni di Torino e Genova (all’epoca l’Unità aveva quattro edizioni: Roma, Milano, Torino e Genova) si sparla dei suoi “comfort”. Così il giornalista si sfoga con Togliatti: “Ho versato regolarmente alla Federazione di Torino, dall’insurrezione al giorno in cui ho lasciato la direzione dell’Unità piemontese, sia quanto percepivo da direttore che come membro del Cln regionale, trattenendo per me solo 1/4 di quanto percepito”. Togliatti scrive allora a Felice Platone, direttore de l’Unità, per chiedere conto. Lui risponde al Migliore e poi a Ugolini. “Una bega di poca importanza”. La faccenda, poi, si risolve. I soldi sono un tema scabroso: nel giugno 1948 Mara Montanari (“compagna dattilografa capace” e che dà “garanzie politiche”) non ha accettato “di venire a lavorare alla direzione del partito”. A l’Unità prende 5.000 lire in più di “quello che le sarebbe corrisposto dall’apparato”.
RACCOLTA. Nell’agosto del 1949 la Direzione lancia “il mese della stampa”. L’obiettivo è quello di raccogliere 300 milioni di lire: 100 resteranno alle sezioni, 100 andranno al partito e 100 a l’Unità. Il giornale del resto già va bene: “L’Unità guadagna sempre maggiori consensi e simpatie in tutti i ceti, insomma fra tutti coloro i cui interessi non collimano con quelli degli imperialisti stranieri e dei loro servi nostrani”, si legge nella nota della Direzione. A due settimane dallo scadere del “Mese” Luigi Longo avvisa: sono stati raccolti 366.788.426 milioni.
STRILLONI. Amerigo Terenzi, tra i fondatori dell’Ansa, è direttore generale dell’Editrice l’Unità e pure presidente degli “Amici de l’Unità” la possente “macchina” dello strillonaggio. Verso la fine degli anni Quaranta non erano rari arresti e sequestri di copie per “vendita di giornali senza licenza”. Il 25 febbraio 1949, nell’aula del Senato, Mario Berlinguer (padre di Enrico e Giovanni) ricordò i “fermi, sequestri e denunzie” agli strilloni. Dai banchi del governo rispose il sottosegretario Andreotti: “Io ho sentito parlare di difficoltà che avrebbe fatto la Questura per lo strillonaggio di deputati in quella nota forma domenicale da parte de l’Unità. Non conosco i dettagli di questa forma di propaganda, ma se posso esprimere una valutazione, debbo dire che questo sforzo per lanciare la propria stampa e per valorizzarla è uno sforzo che fa onore al Partito comunista”. Dopo qualche mese gli arresti cessarono. Anche perché gli “Amici” e la Segreteria avevano studiato un vademecum per gli strilloni: comprare e poi rendere copie all’edicolante; vendere lontano dalle edicole; non sconfinare dalle zone assegnate; attenersi nello strillonaggio alla titolazione del giornale; tornare in edicola se si finiscono le copie.
I CONTI PEGGIORANO. Il 15 gennaio 1968 Amerigo Terenzi relaziona alla Segreteria: “Vi è una continua immissione di ingenti capitali da parte della borghesia per rafforzare e migliorare gli strumenti di informazione ormai sotto il diretto e sempre più sfacciato controllo dei monopoli”. Corriere, Stampa e Giorno “stanno già modificando rapidamente i loro impianti”. E il Pci non potrà seguirli. Quell’anno il partito ha versato 2,5 miliardi per la stampa. L’Organo centrale del partito ha 151 redattori e un piano di ristrutturazione inevaso che avrebbe dovuto portarli a 116. Si discute di tagliare la redazione di Roma. Ma dopo un lungo dibattito si decide di no: i tipografi potrebbero occupare la tipografia. E la politica non capirebbe. In quel 1969 l’Unità viaggia tra le 230 mila e le 286 mila copie, con 47 mila abbonati. Costa 60 lire, 70 a luglio.
ORIENTAMENTO. Il 29 gennaio 1969, nella riunione della IV Commissione del Comitato Centrale, Alessandro Natta relaziona sui “Problemi della nostra stampa”. Lui, che aveva tenuto la relazione per l’espulsione del gruppo del Manifesto dal partito, si dice in questo finire d’anno preoccupato per “l’esplosione delle riviste di taglio ideologico-politico espressione di gruppi di dissidenza o di generica impostazione marxista”. Dice che bisogna “salvaguardare il carattere nazionale, popolare e militante de l’Unità”. Sottolinea: “Per l’Unità più forte deve essere l’informazione sui fatti e la sicurezza dell’orientamento”. Giancarlo Pajetta osserva: “Dove si discute dell’Unità? In direzione da anni non ce ne occupiamo”. Salinari dettaglia: “Parecchi lati positivi. Eccellenti le pagine di resoconto del C.C.” , ma “la pagina sportiva non soddisfa”. La situazione economica negli anni, come previsto da Terenzi nel 1968, va sempre peggio: le prospettive per il 1974 sono “pesanti e difficili”, si prevede di perdere 2,8 miliardi. LETTORI. Secondo una ricerca Isegi, nel 1975 l’Unità è il secondo giornale più letto d’Italia dietro il Corriere e sopra Stampa e Gazzetta dello Sport. È letta per il 74,6 per cento da uomini, per il 25,4 da donne. Il 90 per cento dei suoi lettori sono impiegati, insegnanti, artigiani con dipendenti, contadini con aziende, operai non specializzati, pensionati, ambulanti.
PICCOLE PURGHE. Il 19 giungo 1970 Armando Cossutta (Ufficio di segreteria) scrive a Salvatore Cacciapuoti e Giancarlo Pajetta: il 15 maggio la Segreteria aveva deciso che la “compagna Bonada” non dovesse più scrivere su l’Unità, ma quella firma continua ad apparire. Salvatore Cacciapuoti scrive allora una lettera di fuoco ai suoi: “Ora vorrei sapere: i compagni che dirigono l’Unità furono messi al corrente della decisione? E se furono sì, perché non l’hanno applicata? Sono forse compagni di tipo speciale che non sono tenuti a rispettare le decisioni dell’ufficio di segreteria? Sono forse essi padroni del giornale?”. Nell’archivio de l’Unità la sigla “M. D. Bonada” compare l’ultima volta il 19 giugno 1970.
FEDELI ALLA LINEA. Grazia Curiel invia un articolo a l’Unità per riabilitare il fratello Eugenio dopo che Rinascita l’aveva indicato come confidente della polizia durante il fascismo. Nota di Gian Carlo Pajetta alla segreteria Pci del 13 marzo 1978: “Ho il dovere di dire che se si pubblicasse una cosa simile senza un commento anche più esplicito di quel che si è scritto già, chiederei di pubblicare ipotesi e argomenti che mi paiono attendibili e vanno, naturalmente, nel senso contrario alla lettera della sorella”.
INFEDELI ALLA LINEA. Tra il dicembre 1978 e il gennaio 1979 ben due giornalisti litigano con la direzione (Reichlin e Petruccioli) per la linea di sostanziale appoggio all’Urss di partito e giornale. Il primo è Alberto Jacoviello, corrispondente da Washington, a cui cambiano un pezzo senza neanche dirglielo. Si passa da: la Cina cerca l’alleanza degli Stati Uniti “per sconsigliare l’uso della forza da parte dell’Urss” a “per rilanciare le tensioni con l’Urss anche sul piano della forza militare”. Ne segue un carteggio assai aspro con Petruccioli, inviato in copia alla segreteria del Pci (che dava il suo parere su chi inviare all’estero), chiuso dal condirettore: “Non ritengo opportuna politicamente e per il giornale la pubblicazione di una rettifica che metta in evidenza una divergenza tra l’Unità e il suo corrispondente dagli Usa”. L’altro caso riguarda Emilio Sarzi Amadè, nome pesante della sezione esteri: qui la discussione riguarda l’invasione della Cambogia da parte del Vietnam, sostanzialmente appoggiata dal giornale. Sul sud-est asiatico, scrive Amadè in una lettera finita nell’archivio del Pci con la dicitura “molto riservato”, stiamo dicendo delle falsità per fare contenti i russi: “Il Vietnam ha attaccato solo dopo aver firmato il Trattato di amicizia con l’Urss, prima diceva che non lo avrebbe mai fatto”, in funzioneanti-cinese è in atto “un tentativo di ricreare nel movimento operaio una situazione da anni 50”.
SCOLLAMENTO. Emanuele Macaluso nella Direzione del Pci del 10 febbraio 1984: “Nel corpo redazionale del giornale sono intervenuti profondi mutamenti negli orientamenti politici e culturali. Il vecchio quadro è andato in pensione. C’è una fascia intermedia di redattori che ha un rapporto labile col partito e tuttavia capisce che bisogna fare i conti con la realtà del giornale. La fascia dei più giovani ha invece un rapporto molto precario col partito (come sono giunti al giornale? c’è da domandarselo)”.
RITORNI. La segreteria alla Federazione di Milano (7 marzo 1979): “Il compagno Elio Grisenti, che per tanti anni è stato correttore di bozze a l’Unità di Torino e Milano, e che dal 1964 al 1979 ha lavorato all’estero per incarico del nostro Partito, rientra definitivamente in Italia alla fine di aprile. Dal primo maggio assumerà nuovamente il suo antico incarico di correttore di bozze”.
SUGGERIMENTI. La segreteria del Pci alla direzione nell’agosto 1979: “Cari compagni, scadono in questo secondo scorcio di anno due avvenimenti: il 40esimo dell’aggressione nazista alla Polonia e il 35esimo anniversario della fondazione dello Stato polacco (…) Certamente voi avrete preparato il materiale necessario per qualche iniziativa giornalistica, ma abbiamo voluto lo stesso ricordarvi le due scadenze”.
TOVARICH CHE SBAGLIANO. Victor Zagladin, pezzo grosso del dipartimento internazionale del Pcus, scrive a Enrico Berlinguer: non gli è piaciuto come l’Unità ha riportato il contenuto di un suo pezzo apparso sulla Pravda: “L’Unità, pur avendo un suo corrispondente a Mosca, s’è aggrappata all’informazione dell’agenzia Ansa” e ora sembra “che io abbia scritto un pezzo sull’eurocomunismo, mentre gli ho dedicato una sola frase: la borghesia utilizza l’eurocomunismo per i propri scopi”. Conclusione: “Più grave del contenuto è il fatto che ancora una volta l’Unità è rimasta imbrigliata nell’informazione borghese e ha voluto sparare contro i suoi”.
L’INIZIO DELLA FINE.Nel settembre 1979 quando l’amministrazione dell’Unità informa quella del partito di un incontro col cdr della redazione di Milano: c’è qualche problema coi contributi Inpgi e i colleghi chiedono notizie sul “necessario aumento degli stipendi”. Franco Antelli, allarmatissimo, gira il carteggio alla segreteria: “A parte l’aspetto specifico delle richieste, non mi pare di poco conto il ruolo assunto dal Cdr di Milano, un ruolo da rappresentanza sindacale, che il contenuto della lettera valuta normale mentre rappresenta una novità da considerare con attenzione per i processi che ne possono derivare”.
NUMERI 1976-1983. Fare il giornale costava circa 20 miliardi nel 1976, mentre i ricavi si fermavano a 15,3 miliardi. Nel 1983 si parlava di costi per 61,5 miliardi contro 43,1 di ricavi. La perdita di esercizio dell’83 era di oltre 18 miliardi, che scendevano a 1,3 miliardi a bilancio dopo i trasferimenti dai soci (partito e federazioni). Nel 1976 il giornale perdeva 50,45 lire a copia, nel 1983 erano invece 268,24. Nel 1984 i dipendenti erano 783, quattrocento in meno rispetto al 1981: “425 funzionari e 358 tipografi, di cui cento in cassa integrazione”. Nel 1983 le vendite annuali ammontarono a 68 milioni di copie (13,5 milioni in abbonamento).
LA CRISI. Relazione di Macaluso sulla crisi de l’Unità nella Direzione del Pci del 10 luglio 1984: “La massa dei debiti pregressi sfiora i 60 miliardi”; “il giornale ci costa tre volte di più che se lo stampassimo fuori”; “per ‘liquidare’ le tipografie servono 25 miliardi a disposizione e il partito non può darci queste somme”; “siamo in una situazione pre-fallimentare”. Enrico Lepri, amministratore delegato, timidamente: “Nel bilancio che abbiamo presentato non abbiamo potuto evitare di evidenziare la ‘morosità’ del socio Pci”. Il piano portato in Direzione: chiudere le tipografie e liberarsi dei circa 370 tipografi; pagamento dei debiti pregressi in 18 mesi grazie a una sottoscrizione straordinaria da 50 miliardi; venti miliardi di tagli entro il 1987. Il segretario della Cgil, Luciano Lama: se bisogna farlo si fa, ma sia chiaro che “in questo modo il partito diventa una controparte”. Gerardo Chiaromonte sul punto ha, per così dire, qualche dubbio: “Ci saranno scioperi, occupazioni: è giusto che il sindacato appoggi, ma c’è modo e modo. Lo faranno Cisl e Uil, non lo può fare la Cgil”. La Direzione approva il piano. Commento di Macaluso: “Da due anni non faccio ferie: capita tutto sempre a luglio e agosto...”. L’annuncio pubblico è affidato a un editoriale del 13 luglio. Titolo: “Decisioni da prendere”. Svolgimento: “È chiaro che la questione è posta ormai in termini drammatici: l’Unità deve essere salvata”.
LAMENTELE. Gerardo Chiaromonte, migliorista, membro della segreteria, non ha gradito il modo in cui l’Unità ha riportato – a firma Marco Demarco – una conferenza stampa di Enzo Scotti a Napoli. Se ne lamenta in una lettera tanto con Macaluso quanto con Berlinguer: “C’è incompletezza nell’informazione, c’è diniego (ma di chi? del Pci? di Demarco?) verso ogni possibilità di governo diverso della città (…) Data la delicatezza della questione, la mia domanda è se Demarco abbia chiesto consigli a qualcuno su cosa scrivere: e, in particolare, naturalmente, a qualcuno della Federazione o del Comitato regionale di Napoli. E, se questo non è avvenuto, chi autorizza Demarco a prendere una posizione politica, mentre da parte nostra si cerca, sia pure cautamente, di porre la questione delle alleanze per i comuni con più elasticità?”.
ADDIO ENRICO. Rapporto di Luciano Carli, ispettore cittadino per Roma de l’Unità, sulle copie vendute in città nel periodo che va dal malore di Enrico Berlinguer alla sua morte. 8 giugno. Titolo: “Berlinguer gravissimo”. Copie vendute: 14.900. Commento: “C’è stato un raddoppio, ma rispetto al fatto non si può considerare buona la vendita”. 9 giugno. Titolo: “L’Italia col fiato sospeso”. Copie vendute: 16.750. 10 giugno. Titolo: Berlinguer, condizioni disperate”. Copie vendute: 26.100. 11 giugno. Due edizioni. Titolo della straordinaria: “È morto”. Totale vendite della giornata: 62.175. 13 giugno. Edizione straordinaria. Titolo: “Addio”. Copie vendute ai soli concentramenti: 130.000. Commento: “È sicuramente la vendita più alta mai registrata in una manifestazione”.