Marco Lodoli, La Repubblica 16/2/2014, 16 febbraio 2014
FORZA ERCOLE
Godard segna la fine dell’infanzia del cinema: in un attimo gangster pensierosi, uomini e donne in crisi, anime pallide e filosofiche mandano in soffitta i muscolosi eroi che avevano incantato milioni di spettatori. Maciste e Ursus, Ercole e Sansone vengono spazzati via, l’innocenza dello spettacolo puro viene sostituita da una maturità sofferente, crollano definitivamente i templi fatti di polistirolo e cartongesso, e sotto quelle macerie leggere rimangono per sempre le domeniche spensierate trascorse in sale dove accadeva di tutto. Quando la trama si dilungava troppo, dai posti in fondo si alzava inesorabile l’invito: « »: quello era il divertimento, vedere l’eroe dai pettorali scolpiti che sbatacchiava i nemici, che li frullava a destra e manca come fuscelli. Tutto il resto era solo contorno, una serie di vicissitudini di poco conto, la cultura classica riportata a una dimensione pop, e i romoletti affollavano i cinema soprattutto per godersi le mazzate e le battagliacce.
Dal 1957, quando apparve sugli schermi il culturista americano Steve Reeves, fino alla metà degli anni Sessanta il cinema Peplum o “sandalone” dominò la scena. Circa 214 pellicole girate in un decennio sulla scia di Sugli stessi set venivano girati anche quattro film contemporaneamente, per abbattere i costi e accelerare la produzione, interi quartieri della capitale, il Quadraro, il Tuscolano, partecipavano in massa a queste gioiose e redditizie avventure cinematografiche, fornivano centinaia di comparse, elettricisti, fonici, autisti, cascatori: i film “sandaloni” erano una vera mano santa, Ercole dava da mangiare a mezza Roma. Spesso gli esterni venivano girati in Jugoslavia o in Spagna, ma anche nelle campagne e sulle spiagge laziali, soprattutto a Manziana e a Tor Caldara. Il regista Fernando Di Leo sosteneva che «a Manziana c’era tutto: l’Ame- rica, l’Asia, l’Africa», in fondo non serviva allontanarsi troppo, era una splendida pagliacciata che non aveva alcun bisogno di autenticità. L’era del neorealismo era finita da un pezzo, nessuno voleva più soffrire dietro le miserie dei protagonisti, l’Italia era cambiata, sentiva guizzare l’energia nei muscoli, era carica d’ottimismo e di vitalità. «Lo vedi? Sta a ripassà er copione », diceva un macchinista a un truccatore indicando Steve Reeves che faceva piegamenti tra una scena e l’altra.
Nella bella introduzione a Il grande libro di Ercole, Marco Giusti riporta alcune cifre impressionanti: in Italia nel 1959, ad esempio, circolano 2752 film e le sale cinematografiche sono più di diecimila, nessun paese europeo arriva a questi numeri. I film italiani incassano in media più degli americani. La forza del cinema Peplum sta proprio nella sua capillare distribuzione: magari non sfonda nelle prime visioni, ma recupera alla grande nei pidocchietti (come a Roma si chiamavano i cinemini di quartiere) e nei parrocchiali, là dove si raccolgono a frotte i veri appassionati di Maciste e Ursus. D’altronde sono film dichiaratamente popo-lari, in cui ogni complicazione psicologica viene espulsa preventivamente. Ci sono i buoni e ci sono i cattivi, punto e basta. I buoni sono sempre a torso nudo, menano le mani per difendere la giustizia, non recitano, agiscono. I cattivi invece sono veramente perfidi carognoni che all’inizio fanno il bello e il brutto tempo, ma che alla fine la pagheranno cara: tra i cattivi troviamo anche buoni attori che, per ragioni alimentari, decidono di farsi massacrare da Maciste. Enrico Maria Salerno, Mario Scaccia, Alberto Lupo, Serge Gainsbourg e perfino Gianmaria Volonté, per esempio, hanno dato vita a tiranni crudeli, sacerdoti sadici, subdoli cortigiani, potenti ferocissimi. «Fate torturare tutti i sospetti, a cominciare da donne e bambini», «Schiacciate come vermi quegli schiavi», «I buoni sentimenti mi fanno schifo», le loro battute sono di questo tipo, frasi che debbono solo indignare la platea fumante e ululante e che preparano la sacrosantavendetta dell’eroe. I titoli di questi film sono già uno spettacolo: Maciste, il gladiatore più forte del mondo, Maciste, l’eroe più grande del mondo, Sette contro tutti, Ercole, Sansone, Maciste e Ursus gli invincibili, Ercole contro i tiranni di Babilonia e via così, in una costante esaltazione della potenza dell’eroe, davanti al quale si presentano nemici sempre più agguerriti, gentaccia che sarà tritata. È l’iperbole la cifra stilistica di questo cinema, tutto deve essere esagerato, i bicipiti e i tricipiti, le acconciature delle rare donne, i colori smaglianti, gli scontri epici: masticando bruscolini e lacci di liquirizia, succhiando Nazionali senza filtro, il pubblico in sala partecipa festoso a quelle belle fanfaronate, ma spesso ride, perché quando è troppo è troppo, un uomo solo non può sconfiggere un impero: ma da una sedia cigolante del cinemino più infimo sempre arrivava il commento rassicurante: «Tranquilli, se po’ fa, se po’ fa!».
Bravi mestieranti mandano avanti in fretta questo cinema, cercando di ottenere il massimo spendendo il minimo, ma nel Peplum muovono i primi passi anche registi che poi diventeranno famosi con i western all’italiana o con l’horror: Corbucci, Leone, Bava, che già dimostrano di avere un talento superiore. Ercole al centro della terradi Mario Bava viene considerato dagli esperti il capolavoro del genere Peplum: la storia è quasi solo un pretesto per scatenare la fantasia e, grazie a un’abilità artigianale da grande illusionista, darle una forma compiuta. Ma anche il cinema “sandalone” a un certo punto cominciò a declinare, e fu un tramonto abbastanza rapido: per acchiappare il pubblico, ormai provato da tutte quelle furibonde tenzoni, i produttori provarono a mescolare le carte, escogitando abbinamenti fantasiosi, Zorro contro Maciste, Sansone contro il Corsaro Nero, Maciste contro il vampiro, Golia e il cavaliere mascherato, in un tutti contro tutti che superava ogni minimo principio di credibilità. Ma ormai non c’era più niente da fare, i forzuti avevano fatto il loro tempo, lo straccio era stato strizzato fino alle ultime gocce. In fondo al viale di Cinecittà, con il poncho, il cappello e il sigaro in bocca, cominciava a muoversi un nuovo eroe, sornione eppure rapidissimo con la pistola. Si smontarono i templi e si montarono i saloon, era giunto il momento di Clint Eastwood e poi dei mille Django e Sartana e Ringo. Maciste fu accoppato con una rivoltellata a bruciapelo, l’uomo muscoloso fu abbattuto dall’uomo conlacolt.Quell’epocaridicolaegloriosasembra sepolta per sempre, sebbene nei bar di Roma a volte ancora se ne parla, perché in tanti hanno avuto un nonno gladiatore o legionario a Cinecittà: «L’hanno ammazzato almeno trenta volte, ma era sempre contento, guadagnava bene e fino alla fine ci raccontava di quando Maciste ha sbaragliato da solo l’esercito dei mongoli: mongoli feroci, capito? Mica Puffi».