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 2014  febbraio 16 Domenica calendario

L’ITALIA SENZA LA SICILIA UN ERRORE POLITICO E CULTURALE


Nella risposta alla lettera «Il referendum scozzese: via da Londra ma con Bruxelles» lei ha scritto che con «l’eventuale uscita della Scozia dal Regno Unito (…) il marchio britannico nel mondo diverrebbe meno attraente». Non crede che con l’eventuale uscita della Sicilia dall’Italia il marchio italiano diverrebbe più attraente?
Federica Protti

Cara Signora,
In una vecchia commedia all’italiana (spero che qualche lettore mi aiuti a ricordare il titolo del film) un sottufficiale della polizia o dei carabinieri stava parlando dell’Italia con un visitatore nel suo ufficio di fronte a una grande carta geografica del Bel Paese. Non saprei ricostruire la conversazione, ma ricordo che a un certo punto il sottufficiale copre con una mano la Sicilia e dice maliziosamente: «Non sarebbe meglio così?». Altri invece avrebbero preferito collocarla in un’altra carta geografica, magari aggiungendo una stella alla bandiera degli Stati Uniti. Dopo la fine della Seconda guerra molti siciliani (cinquecentomila secondo alcune fonti) s’iscrissero al Movimento indipendentista di Andrea Finocchiaro Aprile, e il suo braccio armato (Evis, esercito volontario per l’indipendenza della Sicilia) dette filo da torcere alle forze dell’ordine per parecchi mesi. Vi fu quindi in Italia, in quegli anni, un partito dell’indipendenza che si componeva di due correnti opposte: quelli che avrebbero preferito un’Italia senza Sicilia e quelli che volevano una Sicilia senza l’Italia.
Vi sono probabilmente argomenti storici a sostegno di ciascuna delle due tesi. Dall’invasione degli arabi a quella dei normanni, dal grande Federico a Lord Bentinck, proconsole inglese nell’isola durante le guerre napoleoniche, la Sicilia ha percorso strade alquanto diverse da quelle della penisola. Ma negli ultimi due secoli, dalla Restaurazione del 1814 ai nostri giorni, la sua storia è interamente italiana. Senza la Sicilia sarebbe impossibile scrivere sia la storia dell’unità nazionale, sia quella della letteratura italiana. Non potremmo parlare della spedizione dei Mille e dell’importanza che l’isola ebbe per due volte (1860 e 1862) nella strategia unificatrice di Garibaldi. Dimenticheremmo che alcuni passaggi decisivi della politica italiana sono legati, nel bene e nel male, a personalità siciliane. Francesco Crispi fu protagonista di una discutibile politica coloniale, ma anche il creatore delle prime istituzioni sociali e previdenziali dello Stato unitario. Antonio di Rudinì allentò i vincoli della Triplice Alleanza e restaurò i rapporti italo-francesi. Antonino di San Giuliano governò saggiamente la politica estera italiana prima della Grande guerra. Vittorio Emanuele Orlando prese in mano il Paese a Caporetto e lo guidò verso Vittorio Veneto. Don Luigi Sturzo creò nel 1919 il Partito popolare, padre della Democrazia cristiana. Mario Scelba garantì l’ordine pubblico nella fase più difficile del dopoguerra. Gaetano Martino rilanciò l’Europa dopo il fallimento della Ced (Comunità europea di difesa). Credo che ai politici siciliani possa muoversi un solo rimprovero: quello di avere governato l’Italia meglio della loro isola.
Il capitolo siciliano della letteratura italiana non è meno ricco. Proviamo a togliere da una ideale biblioteca nazionale Capuana e Verga, Rosso di San Secondo e Pirandello, Gentile, Borgese e De Roberto, Tomasi di Lampedusa, Sciascia, Vittorini e Camilleri. Quanti vuoti sugli scaffali?