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 2014  febbraio 15 Sabato calendario

QUEI CENTRI DI RIEDUCAZIONE IN CINA SMASCHERATI DALLA STAMPA DI PECHINO


Due mesi dopo l’annuncio della fine dei «laojiao», i campi cinesi di «rieducazione attraverso il lavoro», si scopre quello che si era temuto: sono stati sostituiti da nuove strutture con nomi diversi. Ma l’obiettivo è sempre lo stesso, spaventare e punire con la privazione della libertà, senza processo, il popolo delle petizioni, la povera gente che subisce un torto dalle autorità locali e si rivolge al governo centrale per chiedere giustizia: un diritto che discende dalle dinastie imperiali della Cina. Ora, nella provincia centrale dello Henan, si chiamano «centri per il rimprovero e l’educazione per chi ha presentato petizioni anomale». Questa è la brutta notizia. Ma ce ne sono due buone: il trucco è stato rivelato dalla stampa di Pechino, rilanciato dall’agenzia ufficiale «Xinhua» e dal Quotidiano del Popolo; e il governo ha assicurato che l’ordine di chiudere i nuovi «laojiao» è stato già eseguito.
I primi a denunciare i nuovi centri di rieducazione sono stati i blogger, la voce della classe media cinese. Il caso è stato sposato dalla stampa, che pure è controllata strettamente dal partito comunista. Ieri il Quotidiano del Popolo ha raccontato il caso di una donna di 69 anni detenuta da una settimana per aver cercato di presentare una «petizione anomala». Sono stati intervistati degli avvocati dei diritti civili che hanno spiegato come le condizioni di detenzione nello Henan fossero anche più penose di prima: «Rieducazione e ammonimenti 24 ore su 24». Sono stati individuati centri di detenzione di questo tipo in diverse città, Nanyang, Zhumadian, Dengzhou, Xinxiang. Nel giro di poche ore la risposta del governo centrale annunciata dalla «Xinhua»: «Sono stati inviati sul posto commissioni d’inchiesta e investigatori in incognito, i colpevoli dei maltrattamenti saranno puniti e le strutture subito chiuse».
C’è da credere che i «laojiao» con nomi nuovi siano diffusi in molte altre province dell’impero. Ma è comunque un segnale confortante che l’abuso sia stato denunciato dalla gente e rilanciato dai giornali. È il segno che una società civile sta nascendo anche in Cina. Una nuova lunga marcia è cominciata.