Matteo Persivale, Corriere della Sera 15/2/2014, 15 febbraio 2014
LA GIACCA ROSSA DI SERVILLO «SORPRESA, ORA LA VOGLIONO TUTTI»
«Il sarto che non viaggia resta indietro». «L’abito può dare un tocco di classe, non la classe: quella deve averla il cliente». «La struttura artigianale ha respiro mondiale». «La Francia ha i capitali, l’Italia ha lo stile». «I cinesi non riescono a produrre l’eccellenza perché l’eccellenza nasce dalla cultura del bello, che è italiana». «Tutto il mondo cerca l’Italia ma attenzione: possiamo restare indietro se pensiamo sempre di essere i campioni del mondo». Hanno la battuta pronta Massimiliano e Giuseppe Attolini, figli di Cesare (e nipoti di Vincenzo, l’inventore nel 1930 della giacca destrutturata senza fodera e spalline leggera come una camicia, «il nostro nonno avanguardista»), sono dal 2008 a capo della ditta di famiglia, la «Cesare Attolini». Alla quale hanno fatto fare un salto in avanti non tanto nello stile — «quello si è sempre evoluto attraverso gli anni in modo naturale senza bisogno di seguire la moda» — quanto nell’organizzazione dell’azienda e nella promozione all’estero, con un fatturato di circa 25 milioni in crescita continua e proveniente per il 90% dall’estero, con Germania, Giappone, Usa, Russia e Azerbaijan in testa (al sicuro dunque dal crollo della domanda interna italiana).
Centocinquanta dipendenti nella sede napoletana dei quali centotrenta sono sarti e sarte, 10-11mila abiti prodotti all’anno (il 40% è custom made ) e non di più perché «il limite è 13mila, per produrre sopra quella soglia bisognerebbe cambiare la faccia dell’azienda e con quella anche la qualità». Il metodo, semplicissimo, è quello dell”ago, filo e ditale”, «100% fatto a mano».
Non vogliono diventare più grandi ma più bravi, facendo domande che a volte spiazzano i buyer («Noi prima di vendere vorremmo capire chi sono i suoi clienti»), al contrario dei colossi che puntano forte sul retail in Cina loro aspettano sereni perché «forniamo un prodotto particolare e perciò al momento in Cina vendicchiamo : aspettiamo che quel mercato maturi, ci vorranno vent’anni, in tempo per i nostri figli». A loro piacciono i clienti «che parlano a bassa voce», quelli «che hanno idee personali ma si lasciano consigliare», amano Robert De Niro perché al di là della bravura mostruosa è altrettanto mostruosamente gentile e durante le prove si rivolge loro in buon italiano, in segno di affetto e rispetto. Ridono con Michael Douglas «che conosce Napoli meglio di noi» e dell’amico — prima ancora che cliente e modello: l’hanno vestito ne Le conseguenze dell’amore , Il divo , La grande bellezza con eco globale — Toni Servillo, raccontano che «non ha mai, proprio mai, cancellato una prova, neanche quando è sul set di qualche film o sta lavorando in teatro: è sempre puntuale, educato, professionale».
Proprio Servillo ha creato con i loro costumi il personaggio memorabile di Jep Gambardella ora lanciato verso l’Oscar con La Grande Bellezza (i produttori, Paolo Sorrentino e Servillo alla cerimonia saranno tutti in smoking Attolini). «Pensare che durante le prove in preparazione di Il divo , nel quale interpretava Andreotti, già con l’imbottitura sulla schiena sorridendo davanti allo specchio si raccomandava: “non fatemi troppo bello...”». Invece con Jep Gambardella il trionfo delle giacche sgargianti, i pantaloni bianchi, le camicie morbidissime «da gagà napoletano che trapiantato a Roma fa finta di lavorare, ispirato a un architetto napoletano elegantissimo e sognatore realmente esistito». Le giacche sgargianti di Jep realizzate per il film — quella rossa e quella gialla, portate con i pantaloni bianchi e le scarpe bicolori — sono entrate nel catalogo: grande richiesta dei clienti, «anche di due importanti politici stranieri» dei quali i fratelli non fanno il nome per antico retaggio di discrezione sartoriale.