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 2014  febbraio 15 Sabato calendario

LA FABBRICA DEI TROLL


Tra i troll più famosi della rete c’è Bloodninja. Questa celebrità digitale da anni entra nelle chat, finge di voler fare sesso online e, una volta che ha adescato la sua vittima, inizia a prenderla in giro fino all’esasperazione e a umiliarla finché questa non si disconnette e se ne va con la coda tra le gambe. Un burlone? Un sadico? Impossibile dirlo perché Bloodninja è rimasto sempre anonimo e non concede interviste. Ma soggetti come questo non sono rari da trovare, lì tra forum e bacheche più o meno lecite.
Non si illudano i neo luddisti, il troll è ovunque, non basta disconnettersi per evitarlo. Ce n’è sempre uno all’assemblea di condominio (quello che si alza in piedi e dice che no, non gli va bene la marca delle lampadine usate per illuminare le scale perché ne esiste una che costa meno). Il provocatore è in coda alla posta (quello che si mette a gridare perché sono le 12 e sono tutti in pausa pranzo e solo uno sportello è aperto). E l’odioso disturbatore è perfino sulla bacheca Facebook di vostra madre e della vostra migliore amica (quello che si mette a commentare le foto delle vacanze tirando in ballo i problemi del Paese, così qualcuno gli risponde e lui gode perché ha acceso la fiamma del litigio). Secondo il New Yorker , perfino stati interi come la Corea del Nord possono essere considerati dei troll, per il loro comportamento politico.
Sulla definizione di troll c’è dibattito. Il termine iniziò a circolare per la prima volta negli Anni 80 tra gli informatici statunitensi con riferimento alle pratiche di nonnismo digitale riservate ai nuovi entrati nella cerchia. Proprio come nelle confraternite universitarie, se volevi esseri ammesso dovevi sottoporti all’umiliazione. Fu solo verso il 1990 che il troll divenne il facinoroso che insultava a caso su internet, come spiega Parmy Olson, giornalista statunitense esperta di cultura hacktivist . Molto spesso lo faceva per disturbo nei confronti del potere e della corruzione, come nel caso del collettivo di Anonymous che si scagliò in una delle sue prime operazioni contro la chiesa di Scientology. In quel caso la tecnica usata andava dall’insulto allo scherzo (come ordinare centinaia di pizze a domicilio a nome del malcapitato).
Trovare però delle etichette per questa figura mitologica significa cadere nel suo stesso gioco. Anche se studi, leggi, cerchi di capire come sia nato il fenomeno, è impossibile generalizzare o individuare degli schemi di comportamento. Il troll ti fa un dispetto anche senza sforzarsi. Se cerchi di definirlo, sei trollato a tua volta.
«È come una sanguisuga che si ciba del sangue altrui. Ecco perché c’è solo un modo per evitarlo: non nutrirlo», spiega Azael, creativo di Diecimila.me , tra gli ideatori di Casalegglo, celebre profilo Twitter (falso) del guru del M5S. A muovere questo mostriciattolo è il desiderio di visibilità. «In alcuni casi ti costringe ad andartene dai social per non rispondergli e dargli un palcoscenico», continua Azael. Ma sia chiaro: il troll ha anche una funzione sociale: «Se è simpatico, contribuisce a riportarci con i piedi per terra, perché smitizza chi si prende troppo sul serio».
A pensarci bene il troll sta diventando un prodotto di fabbrica. E sta acquistando forza. Perché non è più solo un adolescente brufoloso e annoiato nascosto dietro lo schermo che schernisce gli altri. Ora è un mercenario al soldo del potere. E, se necessario, colpisce con tutta la sua forza e la sua cattiveria.
Tragicamente lo abbiamo visto anche in questi giorni: adolescenti che si suicidano perché prese (o presi) di mira dagli attacchi dei coetanei in rete. Agghiacciante, soprattutto perché un dodicenne non è in grado di capire che un insulto su una bacheca non è la verità, ma solo il parto di una mente malata. Secondo Tom Postmes, professore di psicologia dei gruppi all’Università di Exeter, che ha studiato i comportamenti online per oltre vent’anni, «il troll tende alla violenza e gode nel provocare disgusto negli altri». E questa sua caratteristica è peggiorata con il passare del tempo, rendendolo sempre più anarchico.
Altro capitolo è quello economico. Si guardi anche all’Italia di questi ultimi due anni. Complice il dibattito politico (spesso di basso livello), le bacheche Facebook e Twitter si sono riempite di schifezze fabbricate dai troll. Insulti, fotomontaggi, video stupidi non sono sempre realizzati gratuitamente. Che si tratti di organizzazioni politiche o di aziende, i troll sono stati arruolati. Un esempio? «Se una multinazionale che produce telefonini vuole dare fastidio al concorrente può rivolgersi all’esterno per assoldare, anche per pochi spicci, utenti che scrivano recensioni negative sull’ultimo modello di smartphone dell’avversario», spiega Paolo Lezzi, esperto di sicurezza informatica e a.d. di Maglan Europe, multinazionale israeliana specializzata nella protezione delle informazioni. Morale, se l’azienda danneggiata vuole reagire, deve rivolgersi prima a società di cyber investigation e poi a quelle che ripuliscono la reputazione digitale «cancellando» i contenuti dannosi dalla rete. Il tutto ha dei costi che vanno dai 5 mila ai 10 mila euro al mese. Ma si consolino le vittime: «Per avvalersi dei servizi dei troll che diffamano si spende almeno doppio, trattandosi di un’attività illegale», chiosa Lezzi. Il confine tra lecito e illecito è poi molto labile: il Telegraph ha svelato come alcune lobby del Parlamento Europeo, in vista delle prossime elezioni, stiano pensando di investire due milioni di euro per reclutare troll con l’obiettivo di contrastare in rete la predominanza degli euro scettici.
Morale, la fabbrica dei troll ha creato nuovi posti di lavoro. In testa, il cacciatore di troll che li contrasta pubblicamente e cerca di ripagarli con la stessa moneta. Ma anche il moderatore. Chi infatti decide di aprire un sito o un blog deve sempre più spesso fare attenzione alla gestione dei commenti nella rimozione degli insulti e dei contenuti non appropriati. Sprecando energie e denaro. Ma questo al troll non importa minimamente. Perché ormai è diventato un mercenario senza cuore.