Antonello Caporale, Il Fatto Quotidiano 15/2/2014, 15 febbraio 2014
MILLE VITE DI DARIO, EX VICEDISASTRO
Forse anche questa volta c’è insieme trama e ordito, ma non sapremo mai se Dario Franceschini oggi viva il dramma e la passione, lo stupore e la commozione di Iacopo Della Libera, figlio di Ippolito, gran puttaniere, padre di altri 52 fratelli concepiti nel rapimento di un istante con altrettante donne di vita. Libere, forti, orgogliose dei loro peccati. E soprattutto solidali.
L’amicizia non è affare della politica, e Dario in questi giorni è accusato di alto tradimento, come se la convenienza fosse un capriccio e non una categoria indiscutibile, un principio assoluto col quale affrontare la durezza del potere, questo cinico e grandioso teatro della vita. Dario è ora vilipeso, e nel Transatlantico già volano le parole (“Giuda!”) per aver seppellito la sua ultima storia d’amore, fratello e anche un po’ tutore di Enrico Letta, per iniziarne una nuova vicino a Matteo Renzi. Sarebbe l’ennesima, volendo far conto che non è la realtà del Palazzo ma l’egoismo dell’uomo a procedere con continue risistemazioni in campo. Quel che qui impressiona è come questa crisi, con i drammi e le cattiverie che si porta dietro, restituisca Dario al suo ultimo romanzo (Daccapo, edizioni Bompiani, 2011), alla figura tragica e insieme straordinaria di Ippolito, papà di Iacopo e infine ai miracoli della vita che il figliolo, chiamato a rintracciare la sua famiglia nata dal peccato, fa. “Iacopo andò a lavarsi le mani. Si guardò nello specchio: aveva le occhiaie profonde e i capelli da lavare. Provò a pettinarli e si vide tanto fragile. Mentre ripeteva quel gesto di ogni sera, il mondo gli stava crollando addosso”. È ancora Iacopo o è già Dario? Che comunque ha una capacità narrativa invidiabile, “lui sa scrivere davvero, non come quei politici che fanno finta”, ha detto Sergio Zavoli, un grande del giornalismo. Sa scrivere sì. Al punto che Jovanotti, a cena con lui, rapito dal romanzo, gli disse: “Perchè non smetti con la politica e inizi a fare lo scrittore?”. Non si fugge dalla realtà e Franceschini oggi è già incasellato come futuro ministro, delle Riforme, della Cultura, della Scuola, chissà. Dario l’aveva detto a Enrico: “Guarda che Matteo è imbattibile!”. Si stava decidendo se fare fronda oppure no, se scendere in campo oppure agevolare il corso del fiume. Enrico rifiutò di contrastare Matteo, Dario scelse di assecondare il corso del fiume. Portò il suo corpo e quello dei numerosi amici verso l’androne fiorentino, zeppo di ospiti in attesa. Si riposizionò? Fosse pure, ma questa è la politica! Solo che oggi stupisce la sua assenza. Doveva stare a palazzo Chigi, ma è scomparso prima della resa. Da quando Renzi è divenuto il nuovo e più giovane unto del Signore della storia d’Italia, Franceschini è divenuto un fantasmino. Non partecipa, non negozia, né sovraintende. La sua figura di carta occupa purtroppo i retroscena e non la scena, e obbliga noi ad andare a ritroso. A ritrovare il filo che lega Dario, non Iacopo Della Libera, alla vita e al successo. L’ha voluto Marini, ma ha accettato di servire il Paese nel governo D’Alema. L’ha scelto Veltroni come suo vice (“Il vice disastro!”, ricordate Renzi all’alba della rottamazione?), ma poi si è affrancato divenendo gestore, sia pure per pochi mesi, del Pd. Perso il duello con Bersani, non la stima. Si risistemò, si ritrovò infine con Letta. Poi però apparve Renzi e...