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 2014  febbraio 15 Sabato calendario

QUEL «PARADISO TERRESTRE» STRACOLMO DI ORRORI E VIOLENZE


Cara Madamina (Emma Bonino, nostro ministro - ancora per poca - degli Esteri, ma anche l’Onu e tutti quelli, politica in testa, che non hanno fatto abbastanza per Massimiliano Latorre e Salvatore Girone) il catalogo dell’India è questo. Dovrebbe conoscerlo bene l’Onu, acronimo di Organizzazione per le Nazioni Unite: praticamente uno scioglilingua più che una garanzia di libertà e di diritti da preservare in giro per il mondo, visto che per i nostri due marò, prigionieri da due anni in India, in attesa di giudizio, anche l’acronimo internazionalista (l’Onu, appunto) non ha combinato una minchia.
Madamina, dicevamo, il catologo è questo, e la fonte è Amnesty International 2013 sull’India. "Hanno continuato - si legge nel report di Amnesty - a verificarsi casi di tortura e altri maltrattamenti, esecuzioni extragiudiziali, decessi in custodia e detenzioni arbitrarie. Le richieste di giustizia delle vittime di violazioni dei diritti umani e di abusi sono rimaste inascoltate, soprattutto a causa di istituzioni inefficienti e della mancanza di volontà politica. A novembre ha avuto luogo la prima esecuzione in India dal 2004. Sono state condannate a morte almeno 78 persone. Le autorità non sono state ancora in grado di arginare la violenza contro donne e ragazze e un eclatante caso di stupro a dicembre ha scatenato proteste in tutto il paese per chiedere riforme giuridiche e di altro tipo.
Almeno 340 persone, compresi civili, sono rimaste uccise in scontri tra maoisti armati e le forze di sicurezza. L’accertamento delle responsabilita per i crimini di diritto internazionale è rimasto escluso dalle iniziative di pace in corso nel Nagaland e nell’Assam. Almeno 65 persone sono state uccise nel contesto di scontri intraetnici e intercomunitari nell’Assam, che hanno provocato lo sfollamento temporaneo di 400.000 persone.
Adivasi (nativi), comunità di pescatori e altre comunità emarginate hanno continuato protestare contro lo sgombero forzato dalle loro terre e dal loro ambiente, mentre ci sono stati progressi nelle indagini ufficiali sull’assegnazione dei terreni a compagnie minerarie. I difensori dei diritti umani sono stati vittime di minacce e vessazioni da parte di attori statali e non; alcuni sono stati condannati a lunghe pene carcerarie. Il governo ha tentato di censurare siti web e di imbavagliare il dissenso espresso attraverso i social network, suscitando proteste contro le restrizioni imposte alla rete".
L’India, dunque, non è il giardino di un Eden mancato, come raccontava anni fa lo sceneggiato di Sandokan trasmesso dalla nostra tv pubblica, la Rai, dove i cattivi erano sempre gli inglesi. E l’India non è neppure il luogo del riscatto dei derelitti. L’India è uno Stato dove, scrive ancora Amnesty, "il governo è stato al centro di accuse di corruzione per la sua incapacità di assicurare una crescita inclusiva, nel contesto della recessione globale che ha colpito notevolmente l’economia indiana. Le comunità povere e già emarginate, calcolate tra il 30 e il 50 per cento della popolazione, sono state le più duramente colpite dall’aumento dei prezzi".
Ma soprattutto l’India è uno Stato dove "l’impunità per le violazioni dei diritti umani del passato e rimasta diffusa e non sono state abrogate né la legge sui poteri speciali delle forze armate né la legge sulle aree con tensioni. Entrambe le legislazioni conferiscono poteri eccessivi alle forze di sicurezza in determinate zone, garantendo loro un’impunita de facto per presunti reati. Nel Jammu e Kashmir e nel nordest del paese si sono tenute proteste contro queste leggi. Il Relatore speciale delle Nazioni Unite sulle esecuzioni extragiudiziali, sommarie o arbitrarie ha espresso preoccupazione durante la sua visita in India a marzo, così come il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite a settembre. Sospetti responsabili di sparizioni forzate ed esecuzioni extragiudiziali nell’Assam (nel 1998 e 2001), nel Manipur, nel Nagaland, nel Punjab (tra il 1984 e il 1994) e in altri stati, sono rimasti latitanti".
In un Paese del genere noi abbiamo due nostri marò prigionieri, è il caso di svegliarsi Madamina, anzi Madamine, al plurale: Onu, Bonino, Governo, ministri degli Esteri che verrà, Matteo Renzi, futuro premier, comunità nazionale. Perché l’India è un paese dove - scrive ancora Amnesty - "in diverse occasioni, la polizia ha impiegato forza non necessaria o eccessiva per sedare le proteste e le autorità non hanno provveduto a condurre indagini tempestive, imparziali ed efficaci sulla maggior parte degli episodi".
Perché Sandokan non è mai esistito e il buono in quello sceneggiato della nostra infanzia era James Brooke, il Raja di Sarawak. Filoinglese.