Tomaso Clavarino, La Stampa 15/2/2014, 15 febbraio 2014
PISTORIUS UN ANNO DOPO: “IL DOLORE MI CONSUMA”
«Nessuna parola può descrivere adeguatamente i miei sentimenti per quel devastante incidente, fonte di angoscia per tutti quelli che hanno veramente amato, e amano ancora, Reeva. La sofferenza e la tristezza, soprattutto nei confronti dei genitori, della famiglia e degli amici di Reeva, mi consumano con dolore. Porterò con me per il resto della vita la perdita di Reeva e il trauma di quel giorno».
Con queste parole Oscar Pistorius ha ricordato sul suo sito l’ex fidanzata, la modella Reeva Steenkamp, morta un anno fa in seguito ad alcuni colpi di arma da fuoco sparati dallo stesso atleta paralimpico. Il 27enne sudafricano, soprannominato «Blade Runner» per le protesi in fibra di carbonio utilizzate durante le gare di atletica, ha rotto così un lungo silenzio, tornando a parlare della tragedia che ha sconvolto una nazione. Era il 14 febbraio 2013, quando Pistorius sparò quattro colpi attraverso la porta del bagno della sua villa di Pretoria, uccidendo Reeva, ma credendo - questa è la tesi sostenuta dall’atleta e dalla difesa - che si trattasse di un ladro. Pistorius non ha mai negato di aver sparato, ma ha sempre ribadito che si è trattato di un incidente.
Icona sudafricana, Pistorius era l’idolo di tutti gli sportivi: era stato il primo atleta paralimpico a partecipare a un Olimpiade, oltre ad avere vinto tre medaglie, delle quali due d’oro, alle Paralimpiadi di Londra. Era, inoltre, il detentore del record del mondo sui 100, 200 e 400 metri piani nella categoria T44, della quale fanno parte atleti con amputazioni, lesioni spinali, handicap muscolo-scheletrici, malformazioni congenite e lesioni nervose. Poi, dopo quella notte maledetta, è stato scaraventato in un vortice di sospetti e accuse. Nonostante il giorno precedente Reeva avesse pubblicato un tweet nel quale si mostrava allegra, spensierata e innamorata in vista dei festeggiamenti di San Valentino, secondo l’accusa (che ha chiamato a testimoniare ben 107 persone) si sarebbe trattato non di un incidente, ma di un omicidio deliberato. Il motivo: una violenta lite, scatenata dalla gelosia dell’atleta, in seguito al deterioramento dei rapporti nella coppia. Una tesi, tuttavia, respinta dalla difesa e dalla famiglia dell’atleta che, per bocca dello zio Arnold Pistorius, dopo un’apparizione in lacrime in tribunale da parte di «Blade Runner», aveva prontamente affermato che «la coppia stava pianificando il futuro insieme e Oscar era felice come non lo era da tanto tempo a questa parte».
Da allora Pistorius ha vissuto una vita ritirata, spesso con la famiglia, silenziosa, fino al messaggio di ieri. Un messaggio che arriva a un paio di settimane dall’inizio del processo, che vedrà, dal 3 marzo in poi, il campione in tribunale e, con lui, gli occhi puntati del mondo. Un’emittente tv sudafricana, «MultiChoice», per l’occasione ha creato uno speciale canale dedicato che seguirà tutto, giorno per giorno. E non è un caso se Pistorius, alla fine del 2013, sia stata la terza persona più cercata su Google, davanti, addirittura, a Nelson Mandela. Il processo sarà l’evento mediatico dell’anno in Sud Africa e molte saranno le persone chiamate a testimoniare. Oltre allo zio Arnold e alla sorella Aimee, sono previste le presenze di medici, esperti di balistica e anche di un meteorologo.
Finora Pistorius ha passato solo quattro giorni nella cella di un commissariato prima di essere rilasciato su cauzione. Una decisione che non è piaciuta a tutti e che in molti hanno visto come un trattamento di favore nei confronti del divo. Pistorius, infatti, in questi mesi ha potuto viaggiare tranquillamente oltre confine, dovendo limitarsi a informare le autorità una settimana prima della partenza, fornendo loro un itinerario e riconsegnando il passaporto al massimo 24 ore dopo il rientro in patria. Pistorius ha dovuto anche pagare un milione e 100 mila rand (circa 83 mila euro) e smettere di consumare alcol e, posto che ne facesse uso, stupefacenti.
Una decisione che, però, secondo il professore Kelly Phelps, docente di Diritto all’Università di Città del Capo, è stata presa correttamente. Il professore ha infatti spiegato in un articolo sul quotidiano inglese «The Independent» come la libertà su cauzione sia giunta non perché Pistorius sia un personaggio famoso e benestante quanto piuttosto perché la legge lo permette. «Non è a rischio di fuga, ha collaborato con la giustizia e non rappresenta un pericolo per la società. La riconsegna del passaporto è stato un atto dovuto: non per permettergli di andare in vacanza in giro per il mondo, ma per dargli la possibilità di gareggiare e guadagnare prima di quello che sarà con ogni probabilità un processo molto costoso».
Un processo che dovrebbe durare tre settimane ma che, in un Paese nel quale i processi per omicidio posso andare avanti anche per due anni, molto probabilmente durerà di più. Certa per il momento è invece, secondo quanto si apprende da un comunicato rilasciato dall’avvocato della famiglia Steenkamp a inizio settimana, la presenza in tribunale a Pretoria dei familiari dell’ex modella e, in primis, della madre June.