Andrea Scaglia, Libero 15/2/2014, 15 febbraio 2014
LA IATTURA DI TANGENTOPOLI: ODISSEA DI UN REDUCE
Un astoria cominciata vent’anni fa. Altra epoca, altro mondo. Altra Italia, certo. Attraversata dalla tempesta Tangentopoli che tutto spazzò, sferzata legalitaria ad alzo zero, e pazienza se qualcuno c’è rimasto sotto. Ma attenzione, ché qui non si tratta di parlamentari e segretari di partito o boiardi noti e potenti. E nemmeno si vuol aggiungere l’ennesima interpretazione favorevole o contraria alla stagione dei pm in trance agonistica. Che comunque caratterizzò il Paese tutto, Duomo e Colosseo ma anche campanili di provincia. Dove travolse pure anonimi funzionari -a volte senza motivo, è il nostro casoeffetti collaterali del furioso bombardamento purificatore. E comunque: altro secolo, quello di Tangentopoli, e però c’è chi ne soffre le conseguenze ancor oggi. Maledizione rimasta incollata al destino. Millenovecentonovantaquattro, dunque. Località Novara. All’epoca Paolo Ansaloni lavorava, direttore amministrativo di quella che si chiamava Usl 51, l’Ospedale Maggiore della Carità. Ed ecco che in ufficio piomba l’inchiesta: l’ipotesi di reato è concussione continuata, in sostanza viene accusato di accelerare a suo piacimento i pagamenti di alcuni fornitori. Preso e sbattuto in isolamento, figuriamoci, poi scarcerato in attesa di processo. E però ci si ricorda l’atmosfera, coinvolgimento significava colpevolezza. E quindi sul lavoro prima viene proditoriamente trasferitoche nemmeno glielo notificano, ma lo vedremoe poi addirittura licenziato. «Fu tutto orchestrato, in realtà rappresentavo una rotella estranea all’ingranaggio», così sostiene l’Ansaloni, in effetti gonfio di rammarico e brama di rivalsa. In ogni caso comincia il calvario giudiziario, e nel frattempo s’aggiunge l’immancabile finanziamento illecito ai partiti. Anni di udienze, per Ansaloni una sorta di ostracismo cittadino, oltre alla disoccupazione. Risultato: nel giugno 2003, vale a dire nove anni dopo l’arresto, arriva l’assoluzione in Appello. Perché il fatto non sussiste.
Non sussiste, maledizione. Nove anni. Lavoro perduto. Matrimonio naufragato. Amicizie annegate nel sospetto. E alla fine il fatto non sussiste. Ansaloni, a questo punto, vuole ricominciare a lavorare. Chiede all’Ospedale il reintegro, più volte. Nessuna risposta. Denuncia il suo caso all’Ispettorato della Funzione Pubblica presso la presidenza del Consiglio. Che gli risponde nell’agosto 2011, invitandolo a presentare istanza di reintegro proprio all’Ospedale Maggiore. Lui esegue, stavolta forte di una carta. Risposte: ancora niente. Si rivolge di nuovo all’Ispettorato, che ribadisce il concetto. Torna all’Ospedale, e stavolta una risposta la ottiene: in sostanza, essendo lui stato licenziato dopo il trasferimento all’Asl 13, è lì che eventualmente deve presentare richiesta. «Ma quel licenziamento era illegittimo tuona Ansaloni -. Innanzitutto non mi hanno notificato il trasferimento. Ma poi sostiene lui la delibera con cui mi spostavano dall’allora Usl 51 all’Asl 13 divenne esecutiva il 16 gennaio 1995, quando la stessa Usl 51 aveva cessato di esistere e si era trasformata in Azienda Ospedaliera». Groviglio burocratico in cui, per la verità, il cronista fatica a orientarsi.
Recentemente il caso di Ansaloni arriva anche in Consiglio regionale del Piemonte, ottobre 2013, in seguito a un’interrogazione presentata dai Cinque Stelle. La Regione, che sul caso si confronta con il ministero della Salute, risponde senza risolvere: «Nessun potere d’intervento è posto in capo alla Regione, in quanto trattasi di questione di natura meramente gestionale di competenza aziendale»e qui, stando al termine, pare davvero rimandi la palla all’Azienda Ospedaliera. Comunque, il regional pronunciamento è: fatti vostri.
Per concludere: Paolo Ansaloni è stato arrestato nel ’94, poi processato e assolto, ha perso il lavoro, non riesce nemmeno a pagare le bollette e tutti se lo rimpallano come un pacco inutile e consunto, imbarazzante reduce di un’epoca ormai lontana. Lui, rompiscatole, chiede di riavere quel che gli fu ingiustamente tolto. E non è per dire, ma son passati vent’anni.