Panorama 13/2/2014, 13 febbraio 2014
SE A PANAMA SCOPPIA LA TREGUA DEL CANALE
Con la trattativa al filo di lana tra l’autorità del Canale di Panama e il consorzio europeo che lavora all’allargamento dell’opera, i riflettori tornano sugli effetti della megacostruzione sul commercio mondiale. Quando si chiuderanno i cantieri, si spera ancora entro il 2015 nonostante i ritardi accumulati finora, lungo gli 80 chilometri del canale potranno passare gigantesche navi di 350 metri di lunghezza (oggi il limite è 292 metri). E in vista di questo ammodernamento, numerosi porti americani della costa orientale stanno investendo miliardi per adeguare fondali e infrastrutture alle supernavi cargo dirette in Asia e ai «tanker» che trasportano il gas liquefatto prodotto nei nuovi giacimenti di «shale gas».
Attraverso il canale transita circa il 5 per cento del commercio marittimo mondiale, un traffico che rende quasi 1 miliardo di dollari all’anno a Panama. Il paese si aspetta che con l’ampliamento il volume di traffico aumenti del 3 per cento all’anno. Insomma, intorno alla via d’acqua ruotano enormi interessi globali e locali. Per questo la disputa tra l’autorità del Canale e il consorzio Gupc guidato dalla Sacyr spagnola e partecipato dall’italiana Impregilo-Salini che ha imposto una linea dura, si è trasformata in un caso politico, con il presidente di Panama Ricardo Martinelli che ha scaricato sull’ex amministratore del canale Alberto Aleman la colpa di avere scelto nel 2009 il consorzio europeo e salvando invece l’attuale responsabile Jorge Quijano: sullo sfondo le prossime elezioni politiche dove Martinelli non può ricandidarsi mentre Quijano potrebbe nutrire ambizioni. Il consorzio aveva aperto un contenzioso per i costi imprevisti provocati dall’impossibilità di usare il materiale di scavo per fare calcestruzzo come era invece indicato nel contratto: uno scarto di ben 1,6 miliardi di dollari su un’opera da 3,2 miliardi.