Filippo Maria Ricci, la Gazzetta dello Sport 13/2/2014, 13 febbraio 2014
IL DERBY DI SIMEONE – [«IL MIO ATLETICO STANCO NON PREOCCUPATO MA QUEL BALOTELLI RESUSCITA LE PARTITE»]
[Diego Simeone]
La forza della positività. La coscienza dei propri limiti. La consapevolezza della propria forza. La tranquillità di chi lavora duro ed è in pace con se stesso. I piedi per terra. La capacità di saper godere dei momenti positivi e non drammatizzare quelli negativi. Questo è Diego Simeone, artefice del miracolo Atletico Madrid. Tre trofei in 18 mesi, vetta della Liga in coabitazione con Barça e Real, 7 punti in più dello scorso anno quando il Barcellona era già irraggiungibile a +12.
Dopo 23 gare senza perdere in 7 giorni sono arrivate 3 sconfitte di fila. All’Atletico non le era mai capitato.
«No, però succede. Due sono state in Copa del Rey contro una delle squadre più forti del mondo (il Real, ndr). All’andata al Bernabeu non abbiamo fatto granché bene: abbiamo preso due gol evitabili, ritorno condizionato a livello di difficoltà dal risultato della prima partita. Ad Almeria è stato diverso: nel primo tempo abbiamo giocato bene, potevamo andare in vantaggio se ci avessero dato i due rigori che non ci hanno fischiato e nel secondo siamo caduti su due episodi. Il primo con la complicità del vento, il secondo per un rigore che non c’era tanto che al nostro portiere, espulso, hanno tolto la squalifica. Però abbiamo perso, ed è l’unica cosa che conta. Ora dobbiamo riprenderci contro il Valladolid e poi andare a Milano per quella che sarà una partita bellissima».
Ha voglia di tornare a San Siro?
«Si, l’idea mi piace molto. Sarà una giornata bellissima per quello che ho vissuto all’Inter, giocare a San Siro è sempre meraviglioso anche se giocare non è più la parola giusta perché ora sono Mister. Però le sensazioni sono quelle, è bello tornare a Milano».
Preoccupato per il momento?
«No. Otto giorni fa eravamo primi in Liga e giocavamo la semifinale di Copa del Rey. Tutte le squadre prima o poi attraversano un momento difficile: a noi sta toccando ora, vediamo come ne usciamo».
Lei ha sempre ripetuto il mantra del «Partido a partido», una gara alla volta. Persa la prima, non si rischia di entrare in una dinamica negativa? Non era meglio guardare al lungo periodo?
«No, perché non dobbiamo allontanarci dalla nostra realtà, da quelle che sono le nostre possibilità. Il concetto del ”partido a partido” ci fa sentire più vivi, competitivi, ci fa credere che possiamo fare qualcosa d’importante. Se uno guarda alle 38 giornate di Liga è impossibile pensare di poter competere con Madrid e Barcellona, impossibile. Loro hanno una qualità tale che alla lunga fa la differenza».
Lei ha sempre evidenziato la differenza di budget tra Atletico, Real e Barcellona. State pagando il gap economico a livello di rosa?
«Da quanto tempo nel girone di ritorno della Liga non c’era una squadra con gli stessi punti di Madrid e Barcellona? Da una vita. È chiaro che stiamo pagando lo sforzo però non abbiamo paura, siamo felici di essere li su e preparati per affrontare il momento. Vediamo come va a finire».
Però giocano sempre gli stessi. State accusando la stanchezza?
«Può essere. Però se giriamo il discorso questa continuità è stata anche uno dei fattori chiave per trovarci in questa posizione. Nessuno mi può garantire che se avessero giocato altri saremmo dove siamo ora. È facile parlare però la realtà dice che sì, abbiamo un grande sforzo nelle gambe ma siamo dove siamo perché abbiamo lottato molto bene».
Se deve scegliere tra Liga e Champions? Alla prima mancano 15 partite, alla seconda 7.
«Per me la vita dei tifosi è la Liga. La Champions è stupenda, fa sognare ma la Liga è il pane quotidiano: la mattina prendi il caffè al bar, guardi il giornale e controlli dov’è la tua squadra in classifica e a seconda dalla posizione sei più o meno contento. La Liga è la vita di una squadra».
Voi siete in un momento difficile, il Milan è da mesi che è in difficoltà.
«Il Milan in Champions League è molto più forte che in Serie A. Per una questione di testa, di abitudine a giocare per una grande società che vuole sempre far bene in Europa. E poi il campionato e la coppa sono andati, resta la Champions e quindi “occhio” e grande rispetto. Sarà dura. Il Milan ha tanti campioni e va affrontato con grande umiltà, sapendo che di fronte non ci sarà la squadra della Serie A ma una molto più cattiva, aggressiva, con una gran voglia di far bene. Il Milan quando ci affronterà tirerà fuori il meglio di sé. Sicuro».
Seedorf, allenatore senza esperienza.
«Tutti noi un giorno abbiamo iniziato, non ci vedo nulla di strano. All’inizio la gente parla, s’interroga, dubita. Poi se uno vince tutti li a complimentarsi e a dire “Eh, chiaro, questo ha giocato, questo sa”. Diciamo che comunque vada voi giornalisti ne uscite vivi, noi allenatori molto meno».
Però Seedorf è arrivato al Milan in un momento particolare.
«Sì, ma lui conosce molto bene la società, aveva lasciato ”la casa” da poco. Molti giocatori sono stati suoi compagni, un bonus per un allenatore».
Differenze tra il Milan di Seedorf e quello di Allegri?
«Dipende da quale Milan. Se parliamo del Milan di Allegri campione d’Italia molti giocatori sono andati via. E sono i calciatori che fanno forte una squadra. Il Milan ha cambiato tanto e quando cambi non è semplice: Allegri aveva già passato un anno di sofferenza, tirando avanti, e ora succede a Seedorf: deve cercare innanzitutto di formare una squadra».
Balotelli.
«Un fenomeno. Uno che può far fare il salto di qualità alla sua squadra, un giocatore che mi piace moltissimo, per il quale nutro grande ammirazione. Uno che può resuscitare una partita morta».
E il resto?
«Io parlo del giocatore».
In Italia è uscita una sua intervista nella quale diceva: «Datemi Balotelli, ci penso io».
«Mai detto una cosa del genere. Mai. Però una volta che è uscita il danno è fatto, la bugia resta lì».
Dell’Inter sente qualcuno? Che idea si è fatto da qui?
«Ogni tanto parlo con Zanetti. Anche loro come il Milan sono in un momento di transizione, con un grandissimo allenatore che sicuramente riuscirà a riproporre una squadra competitiva come lo è stata negli ultimi anni».
Zanetti non le dice: «Cholo vieni qui, dacci una mano»?
«No, perché io la mano ora la devo dare all’Atletico. Siamo in un momento importante e ho altri due anni d’impegno qui».
E la Lazio?
«Mi piace che sia tornato il mister (Reja, ndr) perché conosce la società, sa quello che vuole la gente e la maggior parte dei giocatori è già stata con lui. Ho visto il derby, ha sofferto ma ha giocato con grande grinta e intensità: penso che la Lazio chiuderà con la classifica che si aspetta la società».
Cosa le piace della Serie A, vista da Madrid?
«Mi piace la serie A in sé. È un campionato che per un allenatore è diverso, stimolante. Ora con la crescita dell’Atletico qui in Spagna le squadra ci affrontano variando il proprio sistema di gioco, però di norma in Liga tutte le squadre giocano in modo molto simile. In Italia no: ci sono tante forme di interpretare il gioco, anche all’interno di una sola partita l’avversario può variare, ci sono molti cambi tattici. Per un allenatore è interessante, ti costringe a pensare. Il calcio italiano è in crescita, come la sua nazionale. Da due anni l’Italia gioca un calcio diverso, più attrattivo. Non voglio dire che il modello precedente fosse meno bello perché nella storia e nelle radici italiane il lavoro difensivo ha portato grandi frutti. Però ora ci sono giocatori che fanno fare un salto di qualità alla nazionale. E in Serie A è lo stesso: penso alla Fiorentina, alla Roma, alla Juve…».
Che però è fuori dalla Champions, dove abbiamo una sola squadra.
«Può succedere».
E il lavoro di Ancelotti al Real Madrid?
«Ero convinto che piano piano avrebbe trovato la sua strada imponendo la sua tranquillità. Il ritorno di Xabi Alonso è stato decisivo: gli ha permesso di trovare equilibrio e forza in mezzo al campo e di conseguenza la coesione con gli attaccanti, che sono sì individualisti ma anche fortissimi. Xabi Alonso è la chiave: rappresenta la qualità che hanno sempre avuto le squadre di Ancelotti a centrocampo».