Filippo Facci, Libero 13/2/2014, 13 febbraio 2014
I DEFERENZI
È l’uomo nuovo della politica italiana, è giovane, a suo modo ha rottamato un’intera classe politica e anche piuttosto in fretta, niente da dire: anche se il grosso del lavoro pare ancora da fare. È indubbiamente dotato, piace ovviamente a sinistra ma anche a destra, ha un linguaggio che non avevamo sentito mai, è un assoluto individualista che però bene o male ha una squadra, e, anche se non l’avesse, avrebbe solo da scegliere tra i soccorritori del vincitore. Però non se ne può più: siamo al culto della personalità, alle foto da bambino, ai racconti delle maestre, ai ricordi da boyscout o da baby calciatore, ai gossip improbabili, ai video d’annata con sue vecchie comparizioni televisive, alle interviste fatte ai suoi amici e mentori e collaboratori e biografi e ghostwriter e padri spirituali, e intanto i talkshow se lo contendono, se ne analizza il vestiario, qualcuno dice che fa tendenza. Solo che non stiamo parlando di Matteo Renzi. Stiamo parlando, identicamente, di Antonio Di Pietro negli anni 1993-1995. Non ci credete? Andate a controllare, riguardate i giornali di allora: stesso trasporto, stessa aura di predestinazione, stessa schiuma mediatica fin nei minimi dettagli. Stiamo parlando di uno che - Di Pietro - non è riuscito neppure a farsi rieleggere in Parlamento. E, al tempo stesso, stiamo innegabilmente parlando anche di Renzi. E con questo non si vuol dire che Di Pietro e Renzi siano uguali, figurarsi. È la stampa che è rimasta la stessa.