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 2014  febbraio 13 Giovedì calendario

LA LETTERA DEGLI EVASI: TORNIAMO PRESTO


IL CASO
ROMA Non bastano una moglie innamorata e un figlio piccolo a spiegare i motivi che hanno convinto Sergio Di Palo, 35 anni, rapinatore, a fuggire con un collega di cella, Giampiero Cattini, 41 anni, ex tossico, considerato da chi lo ha arrestato «un violento, una scheggia impazzita». Non basta una presunta tossicodipendenza per giustificare la fuga dell’altra notte ad appena due, forse tre anni di carcere, dall’atteso fine pena. Perché ora gli evasi rischiano una condanna ben peggiore di quella che tecnicamente si doveva chiudere nel 2018, ma che sicuramente sarebbe stata in parte condonata. Non basta neanche il foglio a righe scritto alla direttrice, Annunziata Passannante, a firma dei due fuggitivi che giustificano il gesto come un «momentaneo allontanamento per problemi psichici legati alla droga». Una lettera che tra scuse ed errori di grammatica si chiude con un tocco di formalità: «Con rispetto salutiamo».
Ciò che è accaduto a Rebibbia e che ha messo in cattiva luce il programma della Terza Casa, dove vengono ospitati i detenuti meno pericolosi e vittime della dipendenza, è quantomeno sospetto. Ne sono convinti alcuni investigatori che si sono messi sulle tracce dei due delinquenti, soprattutto di Sergio Di Palo, considerato la mente che avrebbe pianificato l’evasione e che potrebbe avere «interessi di rilievo».
LA RICOSTRUZIONE
«Mio marito è scappato sicuramente perché gli manca la famiglia», ha detto la moglie subito dopo aver saputo della fuga, chiedendo pubblicamente al coniuge di costituirsi. Ma quelle sbarre segate e quella corda usata per calarsi di sotto, non sembrano solo l’epilogo della disperazione. Nessuna telecamera all’esterno, pochi agenti della penitenziaria all’interno. Il muro di cinta senza sentinelle armate e le celle, con porte in legno e un piccolo spioncino di vetro. Di giorno non sono nemmeno chiuse a chiave. Unico deterrente per chi vuole andarsene, sono le grate in ferro dolce alle finestre, non abbastanza duro però per resistere a un normale seghetto da carpentiere. I due detenuti verso le 22 si trovavano in uno spazio condiviso dove, allo scopo di «sviluppare l’autodeterminazione del detenuto», le misure di ristrettezza sono più lievi. È così che Di Palo e Cattini sono riusciti a fuggire, prima salendo al piano superiore, completamente vuoto, poi calandosi nel giardino, scavalcando infine i due muri di cinta con una semplice corda e un rampino, fornito probabilmente da qualcuno all’esterno. Trovando il tempo di lasciare anche la lettera: E aggiungono: «Ci scusiamo, la nostra permanenza ci ha portato a comportamenti scorretti scrivono - ma in questo percorso abbiamo trovato persone speciali». Un gioco da ragazzi, anche perché dalla Terza Casa nessuno di solito tenta di scappare. Lì ci stanno solo i detenuti in custodia attenuata, solitamente ex tossicodipendenti, o comunque pregiudicati con un basso grado di pericolosità sociale.
LE INDAGINI
Gli investigatori della squadra mobile un’idea se la sono fatta, soprattutto chi conosce bene Tor Bella Monaca, il quartiere di Sergio Di Palo. Una «famiglia» criminale, quella frequentata in passato dal detenuto, radicata da anni sul territorio, un’area dove gli affari illegali intersecano il clan Moccia, legato alla Camorra e il crimine romano. Estorsioni, gestione illegale delle case popolari, spaccio di droga. C’è chi è convinto che Di Palo dovesse affrontare alcune questioni personali, non certo «risolvere problemi psichici», come invece sostenuto dai due evasi nella lettera. Ma per ora nessuno può dirlo. La storia recente racconta che nel territorio dove si muoveva Di Palo, percorso da faide e agguati, un mese fa è stato ucciso un 17enne romano, figlio di un boss internazionale della droga inserito pure lui nel regime carcerario.
Un’inchiesta interna è stata aperta dal dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, perché da un carcere non si dovrebbe fuggire. Mentre nel resto d’Italia è scattata la caccia. «Purtroppo ci siamo allontanati per vari problemi già indicati - scrivono i due latitanti - facendo mancanza verso chi non merita questo (riferendosi a guardie e direttrice che ora dovranno spiegare). Ci scusiamo nuovamente».