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 2014  febbraio 13 Giovedì calendario

IL PREMIER NON È SCELTO DAL POPOLO


È ricorrente un’osservazione critica nei confronti di Matteo Renzi: se assurgesse a palazzo Chigi, non sarebbe legittimato. La notazione proviene soprattutto dal centro-destra, posto che i berlusconiani hanno sempre insistito sulla (presunta) elezione popolare del presidente del Consiglio e sulla (presunta) scelta, sempre dagli elettori, di maggioranza e governo. Tuttavia pure commentatori non palesemente schierati avanzano riserve, anche per essere Renzi privo di un’elezione parlamentare.
Sarebbe ora di spazzare dall’orizzonte politico la bufala dell’investitura popolare al presidente del Consiglio. La Costituzione assegna al capo dello Stato la nomina: certo, la prassi costituzionale ha delimitato tale possibilità, ma non l’ha mai annullata. Non solo: la legge del porcellum ha esplicitamente fatte salve le prerogative costituzionali del presidente della Repubblica. La libertà di scelta, da parte del presidente, si vide già nel 1953, quando Luigi Einaudi, presidente più che scrupoloso nel non uscire mai dai limiti che si ritenevano assegnati dalla Costituzione (o dai costituenti), incaricò Giuseppe Pella di formare un governo. Andando al crepuscolo della prima repubblica (ove non mancarono esempi di altre simili designazioni: un nome su tutti, Fernando Tambroni), ecco incaricato di formare l’esecutivo Carlo Azeglio Ciampi, mai stato parlamentare e nemmeno mai titolare di una carica elettiva, fosse pure di consigliere circoscrizionale.
E il sistema elettorale maggioritario sperimentato dal ’94 al 2001? Le maggioranze si formavano non alle urne, bensì in Parlamento, anche perché potevano non essere chiare dai risultati elettorali. Silvio Berlusconi fu chiamato a presiedere un governo privo di maggioranza a palazzo Madama. Il suo successore, da lui stesso indicato, fu Lamberto Dini, un altro non legittimato dal voto popolare.
Nel ’98 la crisi del governo Prodi I fu superata dal gabinetto D’Alema I, cui successe il D’Alema II, al quale tenne dietro l’Amato II. Tutti e tre privi di legittimità? Ma la Costituzione disponeva e dispone che le funzioni parlamentari si esercitano «senza vincolo di mandato» (art. 67). Non può, quindi, sussistere un obbligo di rispetto dell’alleanza nel quale un parlamentare è eletto. Tale alleanza può dissolversi nel corso della legislatura, ma anche subito dopo il voto, per scissioni, fratture politiche, abbandoni personali, divaricazioni sui programmati.
Col porcellum è stata introdotta l’indicazione del presidente del Consiglio? No. Viene solo segnalato il «capo della coalizione». Potrà ben sussistere un impegno politico degli eletti in quella coalizione per indicare al Quirinale il nome del proprio capo per palazzo Chigi, ma il Colle può non tenerne conto: certo, quando manchi una chiara e sicura maggioranza, e mai a proprio piacimento. È quello che avvenne l’anno scorso, quando Giorgio Napolitano si rivolse dapprima a Pier Luigi Bersani, la cui coalizione aveva ottenuto la maggioranza solo a Montecitorio, e poi, visto il fallimento del mandato esplorativo, indicò Enrico Letta.
Se adesso gli succedesse Renzi, sarebbe l’ennesimo caso di pretesa «assenza di legittimazione popolare». Costituzionalmente, però, non vi sarebbero obiezioni. Politicamente, poi, il parlamento può sempre, come ha fatto dall’Unità a oggi, concedere o no la fiducia senza tener conto del responso delle urne. Basta che trovi al proprio interno una maggioranza. Così è sempre stato, senza lacrime sui supposti tradimenti degli impegni elettorali.