Giovanni Orsina, La Stampa 13/2/2014, 13 febbraio 2014
NON PASSARE DALLE URNE PUÒ DIVENTARE UN FRENO
Al contrario di quel che in genere si crede, la politica segue una logica rigorosa. Spietata, anzi. E la logica politica ci dice che, considerate le circostanze, l’ascesa di Renzi al governo è non solo una soluzione sensata, ma forse l’unica soluzione sensata possibile.
Pretendere che Renzi, eletto alla guida del partito all’inizio di dicembre, considerato da molti l’ultima speranza per l’Italia di uscir dalla palude, autoproclamatosi «rottamatore», sopporti per diciotto mesi il dualismo con Letta – ovvero accetti la responsabilità di un governo sul quale non ha un controllo pieno –, significa imporgli una condizione politicamente irricevibile. La sua via d’uscita primaria, date le premesse, non poteva che esser quella elettorale. Oltrepassata questa uscita, la seconda opzione migliore è senz’altro Palazzo Chigi.
Nell’opinione pubblica italiana sembra emergere in queste ore una certa delusione per la «sete di potere» della quale starebbe dando prova il sindaco di Firenze. Alla luce della spietata logica della politica, questa delusione è immotivata. Chi fa politica deve essere assetato di potere. Chi non lo è, è pregato di astenersi dal fare politica. Certo, c’è chi il potere lo persegue per se stesso e chi intende utilizzarlo a vantaggio del Paese. Ma questo è un bivio che si apre a valle: a monte così del sentiero «cattivo» come di quello «buono» troviamo sempre e comunque il potere. Non è affatto impossibile sostenere per altro che la formazione di un governo Renzi, oltre a rispettare la logica politica, risponderebbe pure all’interesse dell’Italia. Se non altro perché il dualismo Renzi-Letta è ormai diventato da varie settimane un ennesimo fattore di paralisi politica.
Tutto ciò premesso, la logica ci dice pure che l’ascesa di Renzi alla presidenza del consiglio non sarebbe affatto priva di controindicazioni, sia per lui sia per il Paese. In primo luogo, perpetuerebbe quello stato di sospensione della normale logica democratica nel quale viviamo da più di due anni. Una situazione anomala che solo l’emergenza può giustificare, ma dalla quale sarebbe quanto mai opportuno uscire quanto prima. Una situazione inoltre – sia detto incidentalmente ma con la massima chiarezza – della quale sono responsabili in primo luogo i partiti, non il Capo dello Stato.
Il governo Letta è nato esattamente come risposta all’emergenza, con una prospettiva temporale limitata e il compito di creare le condizioni perché si potesse tornare alla normalità. L’eventuale governo Renzi potrebbe mutuare dal suo predecessore questa ragion d’essere, dandosi una scadenza ravvicinata e pochi obiettivi ben definiti, oppure, come paiono suggerire tante voci, perseguire scopi ben più ambiziosi. In questo secondo caso però avremmo un governo politico a tutti gli effetti, e tuttavia privo di una chiara legittimazione elettorale – legittimazione che i due milioni scarsi di voti ottenuti da Renzi alle primarie sarebbero del tutto insufficienti a sostenere.
La formazione di un governo Renzi, in secondo luogo, complicherebbe non poco la partita delle riforme istituzionali. Delle quali più che di ogni altra cosa l’Italia ha bisogno proprio per uscire dal limbo «impolitico» in cui si trova e tornare alla fisiologia democratica. Berlusconi poteva (forse) avere interesse a cooperare alle riforme quando apparivano il frutto di un accordo «di sistema» fra destra e sinistra in una condizione di sospensione del conflitto fra i partiti. Non avrebbe però alcun interesse a permettere che un gabinetto Renzi ormai compiutamente ri-politicizzato si intestasse il merito di aver riformato il Senato o il titolo quinto della costituzione.
Per quanto illogico sia criticare Renzi per un’ambizione che qualsiasi leader politico non può che nutrire, in terzo luogo, resta pur sempre vero che la decisione di salire al governo non dopo una chiara vittoria elettorale ma con una manovra di vertice striderebbe non poco con l’immagine che il sindaco di Firenze ha voluto dar di sé finora. Il Renzi presidente del consiglio, insomma, avrebbe un macroscopico peccato d’origine da far dimenticare. E avrebbe un modo soltanto per farselo perdonare.
Giungiamo così in fondo all’imbuto di questo ragionamento. Tutta questa operazione in definitiva avrebbe un senso, per Renzi e soprattutto per l’Italia, se il nuovo governo conseguisse dei risultati davvero rilevanti. Il Paese a quel punto condonerebbe assai volentieri qualsiasi peccato d’origine o difetto di legittimazione. Col piglio che lo caratterizza, il sindaco di Firenze ostenta in proposito grande ottimismo. Ma l’analista dev’essere assai più prudente. Politicamente, certo, Renzi è molto più forte di Letta. Non è fortissimo, però – e non lo è anche a motivo della mancanza di legittimazione elettorale e di una maggioranza politicamente coesa. Al di là della complessità straordinaria dei problemi dell’Italia, insomma, proprio il suo peccato d’origine potrebbe alla fine impedire a Renzi di raggiungere quei risultati che soli farebbero dimenticare il suo peccato d’origine.