Giovanni Bianconi, Corriere della Sera 13/2/2014, 13 febbraio 2014
PENE DA RICALCOLARE PER 10 MILA DETENUTI
ROMA — «Qualcuno sa dire se la sentenza è già pubblicata o lo sarà a breve?», chiedeva ieri pomeriggio un giudice ai suoi colleghi, via posta elettronica. Voleva informazioni perché «domani devo concludere un processo e tra le varie imputazioni ve ne è una che riguarda solo hashish. E dunque la sentenza cambia radicalmente la cornice edittale di riferimento». La risposta è che al momento non cambia nulla: il verdetto che ha mutilato di tre articoli la legge Fini-Giovanardi è stato annunciato da un comunicato della Corte costituzionale ma non è ancora stato depositato con la sua motivazione, e dunque non è ancora efficace. È allora è probabile che oggi quel giudice rinvierà la conclusione del processo in attesa che dal palazzo della Consulta venga pubblicata la sentenza. All’incirca tra un mese, secondo consuetudine.
Ma al di là della data in cui le norme bocciate saranno effettivamente abrogate, la «rivoluzione» è ormai decisa. L’articolo 73 della legge in materia di stupefacenti, insieme agli articoli 13 e 14 a esso collegati, che parificava la detenzione e lo spaccio di droghe leggere e droghe pesanti, è stato dichiarato incostituzionale. Non per il suo contenuto, ma per come è stato approvato; fu infilato con molti altri in un maxiemendamento (peraltro blindato dall’allora governo Berlusconi, che pose la questione di fiducia) durante la conversione di un decreto legge che riguardava tutt’altra materia, le Olimpiadi invernali di Torino. Una procedura inammissibile, ribadisce ora la Consulta richiamando una sua consolidata giurisprudenza, che porta necessariamente all’abolizione delle norme introdotte con quel sistema.
L’effetto è che le riforme varate con la nuova formulazione dell’articolo 73 saranno cancellate, e tornerà ad avere efficacia la vecchia normativa del 1990 varata con la legge chiamata Jervolino-Vassalli (governo pentapartito da Prima Repubblica, guidato da Giulio Andreotti). Lì si faceva una netta distinzione tra il commercio di droghe leggere e pesanti, e per quanto riguarda la prima categoria (hashish e marijuana) la pena prevista variava da due a sei anni di carcere. La Fini-Giovanardi, invece, non faceva distinzioni tra derivati della cannabis, eroina o cocaina: «Chiunque coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita, cede, distribuisce, commercia, trasporta, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna per qualunque scopo sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alla tabella I prevista dall’articolo 14 (un altro di quelli dichiarati illegittimi dalla Corte, ndr ), è punito con la reclusione da sei a venti anni».
Inasprimento durissimo: per gli spacciatori di droghe leggere il massimo della pena precedente diventava il minimo. L’unica attenuante che poteva portare a condanne più contenute era quella dei «fatti di lieve entità» prevista dal comma 5 dell’articolo 73; in quei casi la pena andava da uno a sei anni di carcere, ma era comunque un aumento rispetto alla Iervolino-Vassalli che, per lo spaccio di piccole dosi, prevedeva da sei mesi a quattro anni di galera. Ora si torna a quel regime, e questo crea un problema al decreto cosiddetto «svuotacarceri» varato a dicembre dal governo Letta, e che il Parlamento deve approvare entro il 21 febbraio; lì il comma 5 è stato modificato abbassando il massimo della pena della Fini-Giovanardi da sei a cinque anni. Non appena tornerà in vigore la legge precedente, dove il massimo è quattro anni, bisognerà reintervenire per adeguare la riforma alla norma generale.
Ma come si traduce tutto questo in termini pratici, per imputati e detenuti? Cifre precise non ce ne sono, la stima di 10.000 persone attualmente in cella per reati connessi alle droghe leggere è approssimativa, ed è difficile dire adesso quanti e quando usciranno di galera. Per chi è ancora sotto processo (in Primo grado, Appello o Cassazione), si applicheranno le vecchie norme reintrodotte dalla Corte costituzionale, e in attesa che ciò possa avvenire dopo la pubblicazione della sentenza della Consulta è verosimile che i giudizi vengano sospesi.
Più complicata è la situazione di chi ha già avuto una condanna definitiva sulla base della Fini-Giovanardi e la sta ancora scontando, in carcere o con qualche misura alternativa. Per loro bisognerà avviare, caso per caso, un «incidente di esecuzione» che ridetermini la pena in base alle vecchie norme ora ripristinate. Solo quando si avrà un quadro chiaro di queste posizioni si potrà capire l’incidenza della decisione di ieri sulla popolazione carceraria.
Tuttavia gli effetti della sentenza potrebbero non fermarsi ai tre articoli della Fini-Giovanardi bocciati dalla Corte. Proprio perché il motivo non riguarda il merito delle norme, bensì il metodo con cui sono state introdotte. In pratica la Consulta ha sanzionato un eccesso di potere che governo e Parlamento si attribuirono nel 2006 quando, convertendo in legge il decreto Olimpiadi (che pure conteneva un aggiustamento della legge antidroga per agevolare «il recupero dei tossicodipendenti recidivi»), hanno riscritto la normativa quasi per intero, inserendo nel maxiemendamento ben 23 nuovi articoli. Andando a incidere su materie che non avevano nulla a che vedere con l’oggetto originario del decreto. E questo non si può fare perché — come aveva già sancito la Corte in una decisione del 2012 — va salvaguardata «l’omogeneità di fondo della normativa urgente». Ora sono stati cancellati i tre articoli segnalati dai giudici che, chiamati ad applicarli, si sono fermati e si sono rivolti ai giudici costituzionali; ma se e quando altri magistrati dovessero inviare alla Consulta altri articoli approvati con quello stesso maxiemendamento dichiarato illegittimo, è prevedibile che saranno ugualmente abrogati.