Francesco Saverio Intorcia, La Repubblica 13/2/2014, 13 febbraio 2014
PANTANI, 10 ANNI DI DOMANDE SENZA RISPOSTA
Dieci anni senza Pantani sono una folata di vento, un sibilo inquieto. Non hanno portato pace, ma nutrito i dubbi. Una linea d’ombra innerva la tragedia del campione morto due volte: precipitato dalla vetta del Giro il 5 giugno 1999, per il sangue denso come marmellata; stroncato dalla cocaina il 14 febbraio 2004, nello squallore d’un residence a Rimini. Ogni tentativo di decifrarne il dramma restituisce solo inquietanti domande. L’inchiesta di Philippe Brunel de L’Equipe (Gli ultimi giorni di Marco Pantani), la battaglia della madre Tonina, con Enzo Vicennati di Bicisport (Era mio figlio) e ora Francesco Ceniti della Gazzetta (In nome di Marco).
Un nuovo avvocato, Alfonso De Rensis, è incaricato di setacciare gli atti e provare a riaprire il processo: «Chiederemo che vengano approfonditi molti elementi ». Collaborerà con il perito Francesco Maria Avato, che ha seguito il caso Bergamini.
Pantani è morto nella stanza D5 del residence Le Rose (poi ristrutturato a tempo di record, ma i permessi erano già stati richiesti prima della tragedia). L’inchiesta, chiusa in 55 giorni, ha escluso il suicidio e l’omicidio: overdose accidentale da cocaina. Ingerita, non iniettata. In corpo ne aveva cento grammi, sette volte la quantità letale. Nel 2011, la Cassazione ha prosciolto Fabio Carlino, condannato nei primi due gradi per aver favorito lo spaccio (chiederà la riparazione per ingiusta detenzione). Avevano patteggiato il pusher Fabio Miradossa (4 anni e 10 mesi) e il corriere dell’ultima dose, Ciro Veneruso (3 anni e 10 mesi). E il barman Alfonso Gerardo Ramirez Cueva, per spaccio. Assolta l’escort russa Elena Korovina, “Barbara” per Marco. Per l’inchiesta, Pantani è morto da solo, dopo aver messo a soqquadro la stanza: delirava? Cercava qualcosa (nel tubo del condizionatore, nel controsoffitto bucato)? O sono i segni di una lite?
Altri dettagli non tornano. La scena del crimine contaminata, le impronte mai prese. L’assenza di verbale della prima volante sul posto. Il cadavere con i boxer tirati in vita, come fosse stato trascinato, ferite in tre punti diversi (fronte, guance, dietro l’orecchio), escoriazioni. I resti di una cena cinese mai ordinata (forse il perito intendeva per “cinese” un generico contenitore take away). Le palline di pane, saliva e coca accanto al corpo, «gliele hanno fatte ingerire a forza» per la madre Tonina. Un ingresso secondario non sorvegliato. La differenza fra l’ultima dose acquistata (30 grammi) e quella nello stomaco. L’incertezza sull’ora della morte. Un buco di 9-10 ore da quando, fra le 10.30 e le 11, chiamò due volte la reception: «Qualcuno mi dà fastidio, avvisate i carabinieri». Il ritrovamento della chiave di una vecchia Mercedes e di tre giubbotti, roba lasciata a Milano secondo la famiglia. E il particolare inquietante del cuore portato via dal medico dell’autopsia «per evitare un furto». Mancano, fin qui, una pista alternativa alla droga e un movente. «Mio figlio è stato ammazzato, aveva deciso di dire tutto sul doping», sospetta la signora Pantani.
I dubbi, in fondo, ne accompagnarono l’ascesa e la caduta sportiva. Nessuno giura che abbia domato da pulito un circo di dopati, neppure la signora Tonina esclude il ricorso a sostanze illecite. Restano velate allusioni del Pirata, «se una cosa è consentita, non sono lo stupido del villaggio», e valori ematici sospetti. Mai una positività accertata, e l’analisi autoptica sul midollo escludeva l’uso sistematico di Epo. «A Campiglio mi hanno fregato», scrisse Marco sulla parete di casa. Non scelse lui la provetta: bastava questo, ricorda Ceniti nel suo libro, a invalidare il test, nessuno fu lucido da suggerirglielo. Non fu prelevato un campione per le controanalisi. Discordano i testimoni su chi abbia tarato la macchinetta Coulter, ballerina; sull’uso del laccio emostatico; sull’applicazione dell’etichetta al contenitore («portato via in tasca», accusò Pantani). Sono contrastanti i dati sui valori dell’ematocrito — 51,9 (il limite era 50 con un punto di tolleranza) al mattino, 47,9 poche ore dopo, a Imola — e delle piastrine (insolitamente basse al controllo fatale, nella norma al pomeriggio). Qui, le teorie del complotto hanno più di un mandante e di un movente. Dava fastidio la posizione di Pantani, portavoce del gruppo, contrario ai prelievi del Coni e favorevole a quelli Uci? O c’entrano la malavita e le scommesse clandestine? Renato Vallanzasca, nella sua biografia, rivela che un detenuto, di identità mai svelata, gli suggerì di scommettere contro il “pelatino”. E Vittorio Savini, presidente del club Magico Pantani, di aver subìto minacce anonime: «A Pantani è andata bene, potevamo sparargli».
Da Cuba, il Pirata scrisse: «Non sono un falso, mi sento ferito e tutti i ragazzi che mi credevano devono parlare». Era il suo testamento.