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 2014  febbraio 13 Giovedì calendario

IN COPPIA SÌ, MA NON SOTTO LO STESSO TETTO: DUE MILIONI DI ITALIANI VIVONO COSÌ. PER METÀ DI LORO È UNA SCELTA. E SPESSO L’UNIONE È PIÙ SOLIDA


Per scelta o più spesso per obbligo, 1.874.000 italiani sono in coppia ma non vivono sotto lo stesso tetto (altrimenti, considerando anche i giovani “fidanzati” tra i 20 e i 29 anni, che all’Istat si dichiarano impegnati, il totale sale a 4.227.000, l’8,7 degli italiani). «Solo il 26 per cento dichiara che si tratta di una scelta — spiega Linda Laura Sabbadini, direttore del Dipartimento sociale di Istat — mentre il 23 per cento non ha mai pensato a vivere insieme. Ma per gli altri prevale l’idea della costrizione: si fa così perché è impossibile fare diversamente, anche quando si è giovani».
Vivere a due ore o più di distanza, quella che sconsiglia di tornare indietro ogni sera, come già da tempo fa il 14 per cento delle coppie inglesi, o il 16 di quelle americane. «Ho bisogno di dedicarmi totalmente a quello che sto facendo in quel momento — spiega Lorena Tarditi, 53 anni, consulente dell’Expo 2015 di Milano — Così, il lunedì mattina vengo in ufficio e il venerdì sera torno a Bologna dove mi aspetta Nicola, il mio compagno da vent’anni. Non abbiamo figli insieme, ma uno a testa, nati prima del nostro incontro. E, paradossalmente, questa soluzione ha reso tutto più facile anche con loro».
Sul totale, i pendolari che si spostano nel weekend da una città all’altra per ragioni di studio o più spesso di lavoro rappresentano la netta maggioranza: la fotografia è stata fatta dall’Istat e risale al 2009, quando la crisi già mordeva da un anno, e scendeva la percentuale di chi può scegliere di mantenere due appartamenti poco lontani. Non sarebbe cambiato molto da allora. Dal 2003, data della rilevazione precedente, le coppie LAT (acronimo di Living Apart Together) sono invecchiate e si sono arricchite di categorie “insospettabili”: vedovi, donne che sono partite lasciando a casa marito e figli, separati di fatto che hanno ricreato una famiglia un po’ più in là.
«Vivo in provincia di Torino ma una o due volte alla settimana metto in auto e viaggio per 800 chilometri fino a Udine — racconta Walter Piccardi, consulente informatico — È una pazzia? Forse. Ma intanto là ho un lavoro che qui non ho più. E con quel che guadagno, anche dopo aver tolto la benzina, l’autostrada e le altre spese di trasferta, riusciamo a vivere in tre: io, la mia bambina di tre anni e mia moglie che per assisterla nei suoi problemi di salute ha dovuto lasciare l’attività commerciale che aveva». Un caso estremo? Non tanto, visto che per chi viaggia in treno sono nati abbonamenti mensili che raggiungono il break even, il punto di pareggio, intorno ai 6-8 viaggi al mese, più si percorrono chilometri e più sale lo sconto, mentre i viaggiatori frequenti sulle linee a alta velocità continuano a crescere.
E se fosse più bello, più romantico, più frizzante, come sostengono sessuologi e ricercatori? Sul web spopolano i blogger del club “Amori a mille miglia”, ispirati all’omonimo film di Nanette Burstein, con Drew Barrymore e Justin Long, pendolari sentimentali tra New York e San Francisco. «Partendo dall’ipotesi del pendolare settimanale, quello che una volta alla settimana si ricongiunge alla famiglia, alla moglie o al marito, abbiamo creato offerte commerciali che, nel tempo, continuano a crescere», dice un portavoce Trenitalia. Il sabato si viaggia a metà prezzo, un ottimo sconto per chi ce la fa ad aspettare, il Milano-Napoli andata e ritorno costa 109 euro sui Frecciarossa, chi programma con molto anticipo paga la metà, e così via. E sulle Frecce, nel 2013, i passeggeri sono cresciuti del 5,2 per cento: non sappiamo esattamente perché viaggiano, ma è lecito supporre che lo facciano per tornare da qualcuno. «La popolazione delle coppie che si dichiarano tali ma vivono separate — spiega Linda Laura Sabbadini — è in crescita costante, ma muta nella sua composizione».
Così, aumentano gli adulti Living Apart Together (dal 7,7 all’8,7 del totale), quelli che sono in coppia senza essere sposati, come del resto avviene per tutti gli italiani (dal 2,3 al 3,7 per cento). Coppie normalissime, dunque, che rispecchiano le tendenze generali, anche se sullo sfondo resta un mito: ricongiungersi, tornare (o cominciare) prima o poi a vivere insieme. E se è abbastanza naturale che un ventenne che si sente “fidanzato” viaggi per raggiungere l’amata conosciuta in vacanza o all’università, non lo è altrettanto che un vedovo sessantenne preferisca continuare a vivere a distanza dalla nuova compagna, “perché così i figli la prendono meglio”, o che chi si è appena separato cerchi di rifarsi una vita in un raggio di 300 chilometri.
«Per vivere bene un amore lontano — dice Alessandra Graziottin, sessuologa, alla guida del Centro di ginecologia del San Raffaele di Milano — occorre essere persone equilibrate, capaci di star bene anche da soli e di gestire la propria quotidianità senza aiuti. In questo modo, liberata dall’hardware di lavatrici e bollette, la coppia può avvantaggiarsi della distanza». Le tecnologie aiutano: «Grazie a Skype ottengo dalle mie figlie di 12 e 14 anni molta più attenzione di quando sono nella cucina di casa — racconta Iolanda Romano, architetto, frequenti missioni in Congo — Chi si lamenta davvero è il loro padre, che resta solo nella gestione della quotidianità. Ma per questo ci sono amici e baby sitter».
Utopia per pochi? Non necessariamente, come conferma Graziottin: «L’importante è che la coppia condivida le ragioni della separazione. Conosco padri che sono riusciti a essere più presenti sul piano educativo parlando mezz’ora su Skype la sera con ciascuno dei figli di quanto non facessero vivendo nello stesso appartamento. Per molti di loro, questa lontananza ha segnato una maggiore vicinanza emotiva ». Le tecnologie possono funzionare nei due sensi. E se Skype è “amica”, grazie al contatto diretto che consente tra i due membri della coppia o con i figli, altri network, come Whatsapp, possono trasformarsi rapidamente in nemici, dato che segnalano l’ultimo accesso del partner.
Ma la gelosia a distanza è vietata, pena l’esplosione: «Un inferno, meglio lasciarsi subito», osserva Graziottin. Che ammette: «Amarsi da lontano funziona bene per i Dink, le coppie ad alto reddito senza figli che possono trovare in questa soluzione uno stimolo alla passione e perfino all’erotismo. Ma se una madre resta sola tutta la settimana con i figli, non sarà molto ben disposta a accogliere il marito nel weekend, a meno che lui non sia così intelligente da lasciarle due o tre ore libere per se stessa, e altrettante per fare qualcosa insieme, anche solo in giro in bicicletta». Secondo la Cornell University di New York i rapporti a distanza potrebbero rivelarsi perfino più solidi rispetto a quelli appesantiti da rumori dal bagno e briciole sul divano: dopo una settima di esperimenti, su cento coppie intervistate che si parlavano soltanto via telefono, mail o social network e altrettante che invece si incontravano tutti i giorni è emerso che erano i primi a sentirsi “più profondi e intimi” rispetto ai secondi. Anche perché, scrivono i ricercatori, «nella comunicazione testuale si cerca di dare il meglio di sé». Qualcosa che spesso si dimentica nella vita di tutti i giorni, e che rafforza la posizione dei “separati di fatto” (maschi soprattutto) che all’Istat hanno promesso di non convivere mai più.