Cristina Lacava, IoDonna 8/2/2014, 8 febbraio 2014
POCHI LIBRI, NIENTE VOTI: LA RIVOLUZIONE ENTRÒ A SCUOLA
[Gianmarco Perboni]
Fa quel che può. Quel che non può, non fa”. Così scriveva il maestro Alberto Manzi sulle pagelle dei suoi alunni delle elementari, all’inizio degli anni Sessanta. Niente voti: “L’attenzione e la voglia di imparare di un bambino vanno conquistate, non imposte con la paura di un brutto voto” spiegava alla Commissione disciplinare del ministero della Pubblica Istruzione, dove quelle pagelle in bianco provocavano parecchi mal di pancia. Roba lunare, se pensiamo all’ossessione della valutazione che ha colpito negli ultimi anni le nostre scuole, dove i test a crocette imperversano e non risparmiano neanche i più piccoli.
Abbiamo visto in anteprima le due puntate di Non è mai troppo tardi (in onda su RaiUno il 24 e 25 febbraio) insieme a Gianmarco Perboni, nom de plume di deamicisiana memoria di un professore autore del bestseller Perle ai porci. La prima impressione è questa: se Manzi è ricordato soprattutto per l’omonimo programma rivoluzionario, Non è mai troppo tardi appunto, che tra il 1960 e il 1968 insegnò a leggere e a scrivere a un milione e mezzo di adulti, dal racconto tv emerge che il maestro è stato anche uno straordinario innovatore. «Oggi si spinge non solo sulla competizione tra studenti ma anche tra scuole» osserva Perboni. «Cosa che si è dimostrata fallimentare ovunque nel mondo. Manzi sarebbe inorridito. Lui sapeva dar fiducia, come aveva dimostrato lavorando in un carcere minorile» .
Non usava i libri di testo, non allineava i banchi. Faceva lezione all’aria aperta, osservando la natura. Un giorno arrivò un commissario del ministero: fu il panico.
Lo sa che è ancora così? Ieri è venuto da noi un ispettore dell’Invalsi: gli abbiamo fatto trovare i banchi in ordine, i ragazzi composti, rispettosi. L’establishment non è cambiato e anche i burocrati raccomandati sono gli stessi degli anni Sessanta.
È cambiata molto, invece, la percezione della figura del maestro.
Per Manzi l’insegnante era un educatore, trasmetteva conoscenze. Ormai è passata una deriva culturale che ha ridotto il docente a custode, baby sitter, perfino a domatore. Destra e sinistra, con la connivenza del sindacato, hanno distrutto la scuola.
Non dia la colpa solo alla politica. Non crede che gli insegnanti si siano “seduti”?
Molti hanno responsabilità, certo, perché si sono rassegnati a coltivare il loro orticello. Manzi invece è andato sempre contro gli schemi: al provino di Non è mai troppo tardi stracciò il copione, prese dei fogli di carta da pacchi, un carboncino, e iniziò a disegnare. Per la trasmissione, la Rai organizzò 2000 punti d’ascolto negli oratori, nelle Case della Cultura, nei bar. L’aveva chiesto lui stesso, perché a quel tempo pochi avevano la tv in casa. Pensare che neanche lo pagavano, perché era già dipendente dello Stato. Gli rimborsavano solo le camicie che sporcava con i carboncini.
Agli alunni scrive: non rinunciate a essere padroni del vostro senso critico, nessuno potrà mai distruggervi se non lo volete. Un messaggio più che mai attuale.
Gli insegnanti in gamba ci sono, anche se non si è mai voluta costruire una classe docente forte. Non c’è stata la volontà politica. Però attenzione: avere passione per il proprio lavoro non significa sentirsi missionari. Per Manzi, l’insegnamento non era una missione ma una professione intellettuale. E andava rispettata come le altre.
Che cosa resta oggi di lui?
Il coraggio, sicuramente, che l’ha portato a finire sette volte davanti alla Commissione disciplinare del Ministero. Ed è stato un precursore anche nell’integrazione dei più deboli, come ricorda nel film la storia della bambina poliomelitica.
Due parole sulla Rai “maestra”?
Ho visto la fiction con mio figlio diciassettenne, gli sembrava un altro mondo. Quella qualità televisiva si è persa per sempre, purtroppo. Oggi i vecchietti al massimo sognano di andare da Maria De Filippi.