Alessandro Plateroti, Il Sole 24 Ore 12/2/2014, 12 febbraio 2014
ORA I TASSI CONTANO PIÙ DEGLI STIMOLI
A Wall Street, forse anche più che a Washington, patriottismo e globalizzazione sono i due lati della stessa medaglia. Non a caso, è proprio nel distretto finanziario newyorchese che è stato coniato il motto «ciò che fa bene all’America fa bene al mondo». Forti di questa convinzione, certamente opinabile in quella parte della mondo che di volta in volta paga gli "effetti collaterali" delle grandi scelte finanziarie e monetarie americane (per non parlare di quelle geopolitiche), gli investitori di Wall Street hanno brindato ieri al primo debutto parlamentare del nuovo Governatore della Fed Janet Yellen con un entusiasmo che ha colto molti di sorpresa: tutti gli indici azionari occidentali (le Borse orientali avevano già chiuso) hanno messo a segno rialzi consistenti, con forti guadagni soprattutto nei comparti (banche e industria) più dipendenti dall’andamento congiunturale americano ed europeo, mentre i titoli di Stato considerati difensivi in tempi di crisi - come i T-Bond Usa, i Bund tedeschi e i Gilt inglesi - hanno perso valore a favore di quelli più rischiosi come i BTp e i Bonos. In questa straordinaria inversione di aspettative e di percezioni su ciò che oggi è sicuro e su ciò che non lo è, persino la Grecia e il Portogallo hanno avuto il loro giorno di gloria: Atene ha collocato titoli di Stato a 3 mesi pagando il tasso più basso da oltre 4 anni, mentre Lisbona ha annunciato nell’entusiasmo generale il ritorno sul mercato addirittura con un bond a 10 anni.
Di fronte a queste dinamiche - che hanno molto di finanziario e ben poco di economia reale - almeno due domande sorgono spontanee: che cosa ha detto la Yellen per generare tanto entusiasmo tra gli investitori?
Perché l’Europa e in particolare i mercati dei Paesi della "periferia" stanno beneficiando della fiducia degli investitori se la situazione economica (e politica) dell’Unione è tutt’altro che rosea? Ebbene, la risposta è una sola per entrambe le domande: gli investitori vogliono certezze, e le sole certezze che sono oggi in grado di orientare i flussi di capitali sono quelle che vengono trasmesse dalle autorità monetarie prima ancora di quelle politiche. Così, la Yellen ieri ha fatto proprio questo: dare certezze a un mercato che ormai dal 2008 è scosso dalle sorprese, peraltro negative. Da un lato, il Governatore ha infatti confermato la continuità della politica monetaria americana in una fase in cui la ripresa non si è ancora solidificata, insistendo però su un concetto chiave spesso trascurato: c’è una netta differenza tra il "tapering", cioè tra la riduzione degli aiuti alle banche decisa dal suo predecessore Bernanke, e il "tightening", cioè la politica monetaria restrittiva prodotta da un rialzo dei tassi. Poiché a giudizio della Yellen è prematuro cantare vittoria sulla disoccupazione e sulla crescita, ma è allo stesso tempo chiaro che gli aiuti alle banche hanno spinto la ripresa delle Borse ma non hanno aiutato in pari misura l’economia reale (a cui lei invece dedica la maggiore attenzione), il messaggio che è arrivato ai mercati è stato estremamente chiaro: gli acquisti di bond calano, ma i tassi resteranno prossimi allo zero ancora a lungo. E per i mercati tanto basta.
In secondo luogo, la Yellen ha rassicurato gli investitori su un altro punto: la Fed aveva previsto la reazione negativa dei mercati asiatici alla diminuzione degli aiuti alle banche americane. Semmai, ciò che ha colto di sorpresa la Fed è stata l’esplosione di forti conflitti politici e sociali in quei mercati emergenti - dalla Turchia all’Argentina - che più hanno risentito del calo improvviso dei flussi di capitali americani. Ma proprio questa ammissione ha avuto sui mercati l’effetto collaterale più sorprendente: ammettendo la preoccupazione della Fed sui mercati asiatici e latino-americani, la Yellen ha di fatto rilanciato la "relativa sicurezza" dei mercati europei e soprattutto di quelli dei Paesi periferici, che da fattore critico globale sono diventati (grazie alle disgrazie degli emergenti), una sorta di rifugio "più sicuro" per gli investimenti azionari e obbligazionari.
Per i mercati, l’analisi del nuovo Governatore è stata così la conferma che mancava sulla validità delle scelte fatte dalla fine dell’anno scorso, quando gli investitori cominciarono a spostare il denaro verso l’Europa in risposta alla riduzione degli aiuti alle banche. Basti pensare che in queste prime sei settimane del 2014, i mercati migliori sono stati proprio i peggiori degli ultimi tre anni, e che i comparti borsistici più in rialzo - finanziari e industriali - sono quelli che più hanno pagato la crisi finanziaria e la lunga recessione economica. La Borsa di Atene, per esempio, è in rialzo di oltre l’8% sull’inizio dell’anno, Dublino è in guadagno del 6%, Lisbona del 4,9% e Milano di circa il 4%. La Spagna segna un modesto 1%, ma la Borsa di Madrid sta sempre meglio di quella di Parigi, che dall’inizio della rotazione ha perso quasi il 2%, o di quella di Francoforte, che segna una flessione di circa il 3% in sei settimane. Ed è bene tenere presente che anche il mercato dei titoli di Stato si è mosso lungo questa direttrice. Con tutti gli indici borsistici asiatici e in generale dei Paesi emergenti in profondo rosso, è chiaro che ciò che è stato tolto a una parte del mondo è finito dritto dritto nei "vecchi mercati", Europa e Stati Uniti, e in particolare dove i rendimenti sono più alti del rischio reale geopolitico, economico e finanziario.
Un’ultima annotazione. In questa rincorsa al triplice obiettivo - certezza, sicurezza e rendimento - i settori economici (al pari dei Paesi) sono stati oggetto di rotazione degli investimenti. In questo caso, però, si tratta di un fenomeno più interessante perché fondamentalmente nuovo: il mercato sta acquistando a man bassa tutti i titoli delle banche e delle società industriali che derivano la maggioranza dei propri profitti e ricavi dal mercato "domestico", intendendo in questo modo sia il Paese che in larga misura l’Europa. Un vero ribaltone, questo, che ha prodotto il crollo dei titoli delle multinazionali esposte con i mercati emergenti (vedi quindi le flessioni nelle Borse di Parigi e Francoforte) e un fortissimo recupero delle ex-cenerentole durante la crisi: basti pensare che tra i 10 titoli migliori d’Europa in queste sei settimane del 2014 spiccano la banca spagnola Caixa con un +24%, Telecom Italia (+20%), Intesa Sanpaolo (+16%), Bankia (+12%) e infine Enel con oltre il 12%. Da quanto detto, per concludere, emerge chiaramente che l’onda positiva su cui stanno planando i mercati finanziari resta legata alle scelte sui tassi delle banche centrali (e in particolare di quella americana) più che alla riduzione degli aiuti alle banche o ai progressi dei singoli Paesi quanto a riforme e crescita economica. Questa fase di grazia per i Paesi dell’Europa periferica non va però presa per garantita o eterna, come dimostra il ribaltone dei flussi di capitale subito dai Paesi emergenti che non hanno sfruttato la loro fase di grazia per fare riforme. Insomma, finché gli investitori percepiranno politiche monetarie espansive, i nostri mercati dormiranno sonni tranquilli: ma senza riforme strutturali laddove erano state promesse, il risveglio potrebbe diventare un incubo.