Luigi Galella, Il Fatto Quotidiano 12/2/2014, 12 febbraio 2014
UNA PALESTRA A SCAMPIA PER SVUOTARE LE CARCERI
Se volete chiudere delle prigioni – scriveva Victor Hugo nell’Ottocento – aprite delle scuole”. Una definizione nota e fortunata, utile da rammentare. Il romanziere francese non specificava che genere di istituti educativi. E una palestra di arti marziali, a suo modo, è una scuola: di coraggio innanzitutto, e poi di forza, disciplina, lealtà. Dietro i crimini e i criminali, l’umanitarismo ottocentesco considerava gli uomini. Il sublime ergastolano Valjean, ad esempio, toccato dalla grazia del “giusto” vescovo Myriel (che per molti aspetti ricorda sorprendentemente l’attuale papa Francesco), che si trasforma nel grande eroe dei “Miserabili”. In maniera analoga si comporta chi, in un quartiere degradato come Scampia, non si rassegna al “sistema”, che amministra e regola gli equilibri criminali: nozione ambiguamente condivisa sia dall’evoluta logica della complessità dei filosofi, sia dalla realtà della camorra.
Ed è una storia vera, cha la fiction televisiva elabora e riproduce. Quella dei judoka Maddaloni, il padre Gianni e il figlio Pino, culminata felicemente nell’oro di quest’ultimo alle Olimpiadi del 2000. La vicenda si sviluppa attraverso una serie di snodi drammatici, in cui il male e il bene combattono una battaglia antica nei moderni, giovani corpi di ragazzi, che si affacciano alla vita. E che la vita violentano o difendono.
“L’ORO DI SCAMPIA” (Rai1, lunedì, 21:10) sembra un racconto ottocentesco, opera di fantasia a tinte forti, in cui si fronteggiano eroismo, orgoglio, codardia e prepotenza. Ma gli ingredienti sono parte della realtà di tutti i giorni di comuni, difficili periferie. Beppe Fiorello veste i panni di Enzo Capuano, un volitivo atleta e maestro di judo, che lotta per imporre i valori dello sport proprio lì, nel quartiere. Scelta che procurerà molte amarezze, e infine la gioia, perlomeno, di aver conseguito l’alloro olimpico.
Si parte in medias res e si procede con un lungo flash back. Enzo viene avvertito che nella sua palestra qualcuno ha sparato contro un suo ragazzo, uno di quelli strappati alla strada, ora riverso al suolo, ferito a morte. Suo figlio Tony gli rinfaccia la “colpa” di aver voluto sfidare l’infame realtà sociale del luogo. Ma lui non si rassegna, ed è lì a Scampia che intende restare. Anche perché è mosso non solo da un intento agonistico, ma da una finalità morale, pedagogica. Non vuole soltanto vincere delle medaglie, ma cambiare la realtà, la testa degli uomini. E lì rimane, ostinatamente, anche quando la pressione malavitosa si fa intollerabile, prima con la richiesta del pizzo e poi con l’uccisione appunto di Sasà, l’ex bulletto che delinqueva con gli altri e al quale lui aveva offerto un’altra possibilità. Ora anche la madre di Sasà, Nunzia, è furiosa con lui. Infine, a causa di un incendio appiccato dai camorristi, muore Lupo, il suo vecchio maestro. Così Tony, che lo aveva abbandonato per andare ad allenarsi a Ostia, torna e si ricongiunge al suo gruppo di atleti e visto che la palestra è distrutta si esercita all’aperto, in spiaggia o in pineta, fino alla vittoria dell’oro di Sydney. Beppe Fiorello rivela sorprendenti qualità mimetiche, alle quali si aggiunge una tecnica attoriale che si va col tempo raffinando. La fiction è avvincente e ben girata, con la regia di Marco Pontecorvo. Buono il responso popolare (23.85%, lo share).