Ugo Buzzolan, La Stampa 12/2/2014, 12 febbraio 2014
PERCHÉ SANREMO È SANREMO
1962
Siamo d’accordo che di canzoni se ne sentono anche troppe e che di urli e sospiri ne abbiamo fin sopra i capelli. Ma Sanremo è Sanremo; e c’è in Italia una massa di milioni di persone che non si accontenta di «sentire», ma che vuol «vedere», e da vicino, tutto quel che accadrà nelle tre fatidiche sere e cogliere, da distanza minima, da mezzo metro, le espressioni dei loro beniamini, i nei e i riccioli, gli abiti, i tic, le mossette...
1969
Seguitiamo a registrare dichiarazioni negative: «Sanremo ‘69 le sembra migliore o peggiore di Sanremo ‘68?». «Peggiore, peggiore». «E Sanremo ‘68 rispetto a Sanremo ‘67?». «Peggiore, peggiore». «E il ‘67 rispetto al ‘66?». «Peggiore, senz’altro, io ho una memoria di ferro». «Quindi si va sempre in ribasso?». «A rotoli, vuol dire. Lo Stato dovrebbe fare qualcosa». E dagliela con gli interventi dall’alto: è una fissazione di noi italiani. Ad ogni modo col nostro giro di telefonate alla gente più diversa - ingegnere, pittore, droghiere, geometra, idraulico, insegnante, studente - ci siamo resi conto che tutti assistono al Festival, chi per passione, chi per pigrizia, chi per curiosità, chi per rabbia o per disprezzo: ma tutti lo vedono, magari una sbirciatina, magari un quarto d’ora, cinque minuti, ma tutti se ne interessano. Lo bollano, ne dicono peste e corna, affermano solennemente che è una schifezza e sarebbe sacrosanto contestarlo e abolirlo, ma lo vedono. E sono pronto a scommettere qualsiasi cosa che oggi troverò l’intellettuale fedelissimo de L’approdo che mi dirà «Ieri, per caso, ho buttato l’occhio... però quel Mario Zelinotti... però quel Bobby Solo...».