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 2014  febbraio 12 Mercoledì calendario

SÌ ALLA CAMERA DELLE AUTONOMIE MA NON SIA IL SENATO DEI SINDACI


Mentre siamo tutti in attesa di conoscere il testo della legge elettorale che uscirà dalle prossime deliberazioni della Camera dei Deputati, Matteo Renzi ha fornito qualche sommaria indicazione sulla linea che pensa di seguire nella formulazione del disegno di legge costituzionale che dovrebbe trasformare profondamente il nostro Parlamento, lasciando alla sola Camera dei Deputati la nomina e la revoca del Governo e larga parte del potere legislativo, mentre il Senato diverrebbe un nuovo organo, essenzialmente rappresentativo delle comunità territoriali.

Le linee di fondo rese note sono state peraltro ancora molto poche e comunque già suscitano qualche doverosa valutazione critica. Quando, infatti, ci si ripropone di incidere in modo significativo sull’assetto ed il funzionamento delle grandi istituzioni, si deve necessariamente tener presenti sia le interdipendenze che le necessarie coerenze fra le varie parti coinvolte nel processo riformatore.
Pur senza qui entrare nelle non poche tecnicalità del settore, alcuni punti devono necessariamente essere chiariti: anzitutto a cosa deve servire questa seconda Camera; solo in conseguenza di questa scelta, occorre considerare il problema della sua composizione e della condizione da assicurare ai futuri nuovi senatori.
Andare ad un sistema parlamentare caratterizzato dal primato della prima Camera, non serve soltanto a semplificare il sistema politico ed il procedimento legislativo a livello centrale (basterebbe un sistema con una sola Camera). Una riforma del genere, infatti, in uno Stato regionale come il nostro - analogamente a quanto avviene in tutti gli Stati con forti autonomie territoriali- è finalizzata ad arricchire sostanzialmente il procedimento decisionale a livello nazionale, tramite la rappresentanza degli interessi territoriali nella disciplina di tutti quegli atti e di quelle politiche pubbliche in cui si confrontano interessi nazionali e territoriali. Occorre, infatti, essere consapevoli che il miglioramento – pur indispensabile - delle elencazioni nella Costituzione dei settori di competenza dello Stato centrale, delle Regioni o degli Enti locali, dovrà comunque essere continuativamente integrato dall’azione del legislatore nazionale, chiamato a dare attuazione ed a implementare quanto contenuto nelle scarne disposizioni costituzionali.
Inoltre la riforma costituzionale dovrà chiarire con precisione i poteri legislativi affidati al nuovo Senato: qui ci sono alternative molto profonde, fra una cogestione sostanziale fra le due Camere di alcuni poteri legislativi (ciò è probabilmente indispensabile per le revisioni costituzionali) o, invece, l’attribuzione al Senato di soli poteri consultivi o comunque superabili dalla difforme volontà della Camera dei Deputati.
Ma se – al di là dei diversi assetti che verranno scelti - la cosiddetta «Camera delle autonomie» deve svolgere funzioni del genere, sembra evidente che la sua composizione deve garantire una decisiva presenza di soggetti effettivamente rappresentativi del complessivo sistema delle autonomie territoriali direttamente coinvolte: ciò è conseguibile mediante apposite procedure elettorali che siano idonee a selezionare personale politico del genere, ovvero con procedimenti di nomina da parte delle istituzioni territoriali o perfino tramite l’automatica composizione, in tutto o in parte, del Senato con coloro che svolgano significative funzioni negli enti territoriali. Ciascuna delle tante diverse soluzioni possibili presenta vantaggi e svantaggi che vanno attentamente considerati.
Ma allora diviene davvero difficile comprendere quale possa essere il senso istituzionale della proposta di prevedere, in un Senato di complessivi 150 componenti, l’entrata automatica di ben 108 sindaci delle città capoluogo di Provincia, cui si sommerebbero 21 presidenti delle Regioni e delle Province autonome di Trento e di Bolzano, nonché 21 soggetti designati dal Presidente della Repubblica: d’accordo nel non seguire il modello ultraregionale del Bundesrat tedesco, inserendo nel Senato solo i rappresentanti delle Giunte regionali, e cercare invece di valorizzare anche il tradizionale forte ruolo dei Comuni, ma un Senato fatto essenzialmente da sindaci sarebbe inadeguato in modo palese a rappresentare al centro le esigenze di un serio Stato regionale, ma anche troppo poco rappresentativo delle diverse realtà politiche e perfino delle tante popolazioni che non vivono nelle città grandi e medie.
Ma poi è davvero pensabile che i sindaci/senatori possano svolgere gratuitamente un «secondo lavoro» tanto impegnativo, in un organo che dovrebbe lavorare con grande intensità?
Non bisognerebbe mai dimenticare che pure dietro alla creazione di un forte ed efficace «Senato delle autonomie» si gioca la complessa partita fra regionalisti, autonomisti e centralisti, con questi ultimi, tradizionalmente contrari ad ogni seria attuazione del regionalismo, favorevoli ad un apparente rafforzamento delle altre autonomie territoriali, assai meno pericoloso per le dominanti burocrazie che operano a livello nazionale anche a prescindere dal contenuto della nostra Costituzione.