Aldo Grasso, Corriere della Sera 12/2/2014, 12 febbraio 2014
«L’ORO DI SCAMPIA» LUCCICA SOLO FIORELLO
La fiction di Rai1 vuole la nostra salvezza, lavora per la liberazione dalle conseguenze del peccato d’immagine, desidera proteggerci dalla viltà indelebile della serialità americana. Ne prendiamo atto e ringraziamo. Ogni puntata è una tappa di un ideale cammino spirituale. Questa volta tocca a Enzo e Toni Capuano, le cui vicende sono liberamente ispirate alla vita di Gianni e Pino Maddaloni che nel 2000 portarono l’Italia sul gradino più alto del podio alle Olimpiadi di Sydney, vincendo l’oro nel judo (la loro storia è raccontata nel libro La mia vita sportiva).
Ormai le vele di Scampia sono diventate un set cinematografico, fanno parte del nostro immaginario. In quel luogo governato dalla camorra, ogni tanto nasce un fiore che va aiutato, coltivato, protetto.
Enzo Capuano (Giuseppe Fiorello) gestisce insieme al suo maestro Lupo (Nello Mascia) una palestra di judo. Fa l’infermiere, e per nessun motivo lascerebbe Scampia: la sua missione è sottrarre manovalanza alla camorra insegnando ai ragazzi le discipline delle arti marziali, dove la forza cerca di armonizzarsi con lo spirito (lunedì, ore 21.20).
«L’oro di Scampia», diretto da Marco Pontecorvo, si regge tutto sulla bravura di Beppe Fiorello. La storia, infatti, per quanto suggestiva e piena di implicazioni sociali, viene instradata nei soliti binari dell’agiografia: San Enzo, san Lupo, san Poliziotto (il deuteroagonista della vicenda, incaricato di salvare una ragazzina dalla prostituzione), santi tutti, eccetto i cattivi.
Quando a Toni (Gianluca Di Gennaro), il figlio primogenito di Enzo e Teresa (Anna Foglietta), le autorità offrono una palestra più consona per allenarsi, il più sembra fatto; ma Enzo si oppone: «Io non sono in vendita». Ok.
Beppe Fiorello merita di più: il «Modugno» deve considerarsi un punto di partenza, non d’arrivo.