Sergio Romano, Corriere della Sera 12/2/2014, 12 febbraio 2014
LA LEGGE ELETTORALE NON BASTA OCCORRE ANCHE CAMBIARE LA CARTA
In questo gran clamore sulla legge elettorale e con un pensiero agli strenui difensori della Costituzione, per loro intoccabile, mi è sorto questo dubbio: i nostri padri costituenti non hanno commesso un errore nel non avere previsto una legge elettorale costituzionale? Con una semplice legge ordinaria hanno fornito ad ogni maggioranza di governo la possibilità di crearsi una legge utile ai propri fini elettorali, a scapito dell’opposizione.
Sergio Saladini
Caro Saladini,
I n due articoli della Costituzione (56 e 57), i costituenti si sono limitati a fissare il numero dei parlamentari per ciascuna delle due Camere e a dare indicazioni sul modo in cui ripartire i seggi nel territorio nazionale. Per il resto decisero che era meglio lasciare ai legislatori il compito di adattare la legge elettorale alle mutate condizioni politiche e demografiche del Paese. Fu così che gli italiani andarono alle urne nell’aprile del 1948 con una legge approvata il 5 febbraio, poco più di un mese dopo la promulgazione della Carta costituzionale; che tornarono a votare il 7 giugno 1953 con la «legge truffa» approvata il 31 marzo; che votarono il 25 maggio 1958 con una nuova legge elettorale approvata nel marzo di due anni prima.
Tralascio le due leggi più recenti, approvate rispettivamente nel 1993 e nel 2005, e mi limito a constatare che nessuna di queste leggi ha garantito la stabilità politica del Paese. Il lungo governo del 2001 non è una eccezione. Silvio Berlusconi è stato presidente del Consiglio dall’inizio alla fine della legislatura, ma non è riuscito a realizzare, se non molto parzialmente, le promesse fatte durante la campagna elettorale. Quali che fossero le regole con cui gli italiani sono andati alle urne, tutti i loro governi sono stati periodicamente agitati da conflitti interni, verifiche, rimpasti. Temo che lo stesso accadrà con la legge proposta da Matteo Renzi e Silvio Berlusconi, se verrà approvata dalle Camere. La nuova legge cerca di ridurre il numero dei piccoli partiti, ma è disegnata per favorire la nascita di due coalizioni; e noi sappiamo per lunga esperienza che le coalizioni, soprattutto in Italia, sono unite per vincere ma divise per governare. Come abbiamo constatato nel caso di Berlusconi, il fatto che il presidente del Consiglio sia implicitamente designato dagli elettori non gli conferisce i poteri di cui godono quasi tutti i suoi maggiori colleghi europei.
Non serve quindi inserire la legge elettorale nella Carta costituzionale. Nel caso italiano occorre piuttosto adattare la Carta agli scopi che si vorrebbero raggiungere con il cambiamento della legge. Occorre abolire il bicameralismo perfetto. Occorre che il voto di fiducia sia una prerogativa della Camera dei deputati e concerna soltanto la persona del Primo ministro. Occorre che questi abbia il diritto di nominare i ministri, revocarli, proporre lo scioglimento delle Camere. E occorre infine che la mozione di sfiducia sia costruttiva, vale a dire accompagnata dal nome della persona che dovrà sostituirlo. Matteo Renzi ha avuto il merito di rendere possibile una riforma della legge elettorale che stava scivolando nelle sabbie mobili della politica italiana. Ma senza una riforma della Costituzione i cambiamenti saranno modesti, se non addirittura irrilevanti.