Giuseppe Videtti, La Repubblica 12/2/2014, 12 febbraio 2014
RON – Al Festival di Fazio, nella serata di venerdì 21, quella dei duetti, Ron canterà — ma da solo — Dalla
RON – Al Festival di Fazio, nella serata di venerdì 21, quella dei duetti, Ron canterà — ma da solo — Dalla. «È un brano che ho dentro, è come fosse mio, non potrei condividerlo con nessuno, a parte Lucio che idealmente sarà con me sul palco». È un omaggio, la prima esternazione pubblica dopo la morte dell’amico. Ron ha elaborato in silenzio il suo lutto e non ha dimenticato. Undici anni dopo l’esordio sanremese da cantante ragazzino, il maestro, che aveva portato al successo la sua gli disse: «È ora che ti scrivi i testi da solo ». Era l’81, un periodo glorioso nella carriera di Ron, al secolo Rosalino Cellamare, 60 anni — quarantaquattro in musica — e ancora quella faccia da ragazzino che battezzò il primo Sanremo degli anni Settanta con una canzone che solo due adolescenti come lui e Nada avrebbero potuto cantare. «È vero, gli anni Ottanta furono una benedizione per me. Incisi (’79-’80), al quale partecipai come musicista e arrangiatore, e i miei miti, Jackson Browne, Joni Mitchell, Crosby Stills Nash & Young. Quell’album mi diede una nuova vita», ricorda. Con Sanremo, dove quest’anno torna in gara, ha avuto un rapporto altalenante. «Il Festival non è più un appuntamento per chi ama la musica, ai miei tempi era un’altra cosa, c’era un’attenzione micidiale per le canzoni, poi ha cominciato a prendere piede lo spettacolo, la tv ha fagocitato la gara», spiega. Il 20 febbraio, a cinque anni dall’ultimo disco d’inediti, pubblica un testo che gli scrisse Dalla, per eccesso d’amore e per pudore rimasto nel cassetto per più di vent’anni. «Scrivere canzoni mi permette di raccontarmi di più e meglio, come in un incontro tra amici quando, un po’ sbronzo, dici cose che nessuno si aspetterebbe da te». Questo disco la riporta a Sanremo, dove nel ’96 trionfò con ’Vorrei incontrarti tra cent’anni’ «Mancavo dal 2006, il Festival di Panariello. Cantavo ’L’uomo delle stelle’». Bruttiricordi? «Belli e brutti. Ricordo l’emozione delle prime apparizioni,una gioia, una festa per un adolescente. Ma ricordo anche il dramma di nel ’72. Accompagnavo Dalla alla chitarra e attaccai in anticipo sull’orchestra. Andammo fuori tempo. Lucio — non dimenticherò mai la faccia che fece — fu costretto a fermare l’esecuzione; avrei voluto morire. Infine il Festival dell’88: che tristezza quel Sanremo senza orchestra, a cantare sulla base, di fronte a un mazzo di fiori. Arrivai tra gli ultimi». Cosa l’ha fatto tornare? «Fabio Fazio, uno che ama la musica, si circonda di persone che amano la musica e nella selezione dei brani usa esclusivamente criteri di qualità. Il suo Sanremo è uno dei pochi che non mi abbia annoiato, tranquillo, rilassato, positivo. Una buona vetrina per questo disco, che è pieno di me e di tutto ciò che mi sta a cuore. Ad esempio, è ispirata alla piccola eroina afghana che ha rischiato la vita lottando per il diritto all’istruzione». Ma c’è anche ’America’, un testo inedito di Lucio Dalla che lei ha musicato. «Lo scrisse per me nel ’92, parole affettuose che mi indussero a riconsiderare il mestiere di cantautore, l’atteggiamento nei confronti del mondo e le aspettative in un momento in cui ero arrabbiato e deluso per mancanza di risultati. Il messaggio è: il successo arriverà quando scoprirai quel che hai dentro e lo amerai, anche se non ti piace». Perché ha aspettato così tanto per metterlo in musica? «Avevo bisogno di metabolizzarlo, di trovare il momento in cui farlo con passione e consapevolezza. È una lettera che Lucio mi scrisse, c’è dentro il mio modo di vedere la vita e l’amore». Il suo destino s’intrecciò molto precocemente con quello di Dalla. «Lo incontrai la prima volta a Sanremo, nel 1970. In effetti dovevo cantare una sua composizione, che invece fu bocciata e successivamente portata al successo da Morandi. Avevo sedici anni e mezzo, subito dopo incisi una canzone che avrebbe dovuto cantare lui. Non ho mai capito perché Lucio volle darla a me. Paola Pallottino, coautrice, non era d’accordo, ma lui insistette perché a raccontare quella terribile storia di molestie fosse un ragazzino». All’epoca il Festival creava e distruggeva miti «Un successo precoce come quello che ebbi io può causare sbandamenti. Abitavo dove ancora vivo, a Garlasco, e subito dopo Sanremo ripresi ad andare a scuola. Arrivavo col trenino a Pavia, e un gruppo di coetanei, evidentemente gelosi, da un treno che viaggiava sul binario opposto mi gridava qualsiasi cattiveria. Ma fu anche un periodo di grandi opportunità. A Roma abitai da Sergio Bardotti; in casa sua arrivavano Vinicius de Moraes e Chico Buarque e Toquinho, si suonava fino alle sei del mattino. Poi mi trasferii da Lucio, a Trastevere. All’epoca collaborava con Roversi, grande euforia… Sono stato molto fortunato, ho vissuto in un periodo in cui sono successe tante cose, tutte importanti». Non sono tempi facili per i cantautori della sua generazione. Come ci si sente quando gli amici cominciano ad andarsene, il mondo intorno cambia e persino la tv, alleata di sempre, riduce gli spazi della musica unicamente ai talent show? «Come uno che non ha il ponte per raggiungere la riva opposta; ti metti a nuotare con il rischio di affogare e di non arrivare mai».