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 2014  febbraio 12 Mercoledì calendario

THE SOUND OF SCIENCE


Tra la cinquantina di personalità raffigurate sulla celebre copertina di Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band dei Beatles (1967) c’è anche lo scrittore inglese Aldous Huxley. Nipote dello strenuo sostenitore dell’evoluzionismo Thomas Henry Huxley (“il mastino di Darwin”), fratello del biologo Julian e fratellastro del premio Nobel Andrew Huxley, Aldous aveva intuito nel romanzo Il Mondo Nuovo (1932) alcuni dei dilemmi centrali nel rapporto tra scienza e società contemporanea. È probabile, tuttavia, che i Beatles associassero il nome di Huxley soprattutto ai suoi scritti sugli allucinogeni. Sulla stessa copertina, accanto a Karl Marx, spunta anche il volto dello scrittore Herbert George Wells, tra i padri del “romanzo scientifico” con opere come L’Isola del dottor Moreauv – nonché egli stesso studente nei corsi di biologia di Thomas Huxley!
Gli intrecci tra musica e contenuti, figure e immagini dell’ambito scientifico sono molteplici e ricorrenti. La forma più conosciuta vede i musicisti attingere suggestioni dagli sviluppi scientifico- tecnologici e dai loro riflessi sociali e culturali – in ambito pop è facile citare i lavori di Kraftwerk, Franco Battiato e Brian Eno negli anni Settanta.
Forse meno noto, ma talvolta significativo, è il ruolo che elementi e tecniche della musica e della danza possono avere nell’ispirare o perfino accompagnare il lavoro degli stessi scienziati.
In uno studio pubblicato recentemente sul New Journal of Physics che forse incuriosirebbe lo stesso Battiato, un gruppo di fisici analizza le rotazioni con cui i Dervisci imprimono alle proprie tuniche movimenti «che sembrano sfidare la gravità e il senso comune ». La loro analisi rivela l’importanza della forza di Coriolis, la stessa che è alla base di fenomeni atmosferici come i cicloni. La comprensione della danza dei Dervisci potrebbe altresì aiutare a comprendere le sollecitazioni a cui sono sottoposti componenti rotanti come dischi a turbina o hard disk.
La musica può essere per gli scienziati anche strumento di lavoro. Per indagare la sensibilità alle vibrazioni sonore dei lombrichi, Charles Darwin si affidava al talento pianistico della moglie Emma. Scoprì così che erano indifferenti al suono del piano, ma non alle vibrazioni: “un do in chiave di basso” fece immediatamente ritirare i lombrichi posti su un vaso sopra il pianoforte. Allorché dovette risolvere il problema di suddividere con precisione il tempo per i suoi esperimenti sul piano inclinato in assenza di cronometri, Galileo, figlio di un musicista, ricorse molto probabilmente al ritmo del canto e a corde di budello posizionate in modo assai simile ai tasti mobili di un liuto, strumento che conosceva bene.
Molto più recente, ma in rapida crescita, è il fenomeno della cosiddetta “sonificazione”: la traduzione di dati di ricerca in forma sonora, accanto alle più comuni forme di visualizzazione grafica. Alcuni di questi progetti puntano ad avvicinare in modo inconsueto il pubblico a temi e contenuti scientifici. È il caso della composizione Bonner Durchmusterung, commissionata al compositore Markus Schmickler per l’anno internazionale dell’astronomia, dieci movimenti basati su altrettanti dataset astronomici (eruzioni solari, pulsar, stelle di neutroni). Nel campo
della genetica, il progetto Life Music trasforma in musica le sequenze proteiche. Per la biologa Mary Anne Clark, l’idea è «entrare in una cellula vivente così come si entra nel corridoio di una scuola di musica… sentire i ribosomi ticchettare la sintesi proteica, suonare le loro sequenze, nota per nota, sulla base di uno spartito genetico». Lo scopo del progetto «non è tanto quello di creare musica dalle strutture proteiche, ma di scoprire la musica che esse incorporano, una musica genetica dalla tradizione ben più antica di quella della musica scritta, almeno 3,8 miliardi di anni».
Difficile pensare che gli esperimenti al Cern, in questi anni al centro dell’attenzione scientifica e mediatica, non potessero offrire spunti anche sul piano musicale. Il progetto LHCsound, nato nel 2010, ha tra i propri obiettivi, oltre a rendere accessibile ai non esperti ricerche scientifiche complesse ed astratte, quello di «introdurre i fisici delle particelle alla possibilità di usare la sonificazione come tecnica di analisi». La fisica Lily Asquith, che ne ha presentato i “risultati sonori” anche al Festival Jazz di Montreux, ricorda che il lavoro è partito dalla constatazione del fatto che «talvolta, parlando tra di noi, ci capita di associare le proprietà delle diverse particelle a suoni, oltre che colori, paragonandone per esempio il comportamento al suono di un sacchetto di patatine difficile da aprire».
Due anni dopo, nell’ambito di un altro progetto, anche il bosone di Higgs è stato tradotto in musica. Usando la stessa infrastruttura usata dai ricercatori per i propri dati, Domenico Vicinanza e i suoi colleghi hanno trasformato in note la rilevazione della particella. Il risultato è una breve melodia, spiega Vicinanza, «che potrebbe essere usata da un ricercatore non vedente per comprendere esattamente dove si trova il picco del segnale del bosone di Higgs» oppure «dare a un musicista la possibilità di esplorare il mondo affascinante della fisica delle alte energie».
Di tutt’altro tono è Higgs Boson’s Blues, tra i pezzi di punta del nuovo album del cantautore australiano Nick Cave, dove il nome della particella è pura suggestione per un misterioso viaggio verso Ginevra. Resta da vedere quale brano avrà maggiore successo, e soprattutto chi incasserà i diritti d’autore che spettano al bosone.