Riccardo Staglianò, La Repubblica 12/2/2014, 12 febbraio 2014
BULLISMO E ANONIMATO, TUTTI CONTRO ASK.FM IL SITO DEI RAGAZZI CHE TERRORIZZA I GENITORI
ROMA — Nelle strade poco illuminate si rischia di più. E Ask.fm è un sito dove, volendo, si può picchiare al buio. Con le parole, che non fanno meno male. Il suicidio di Amnesia, come si faceva chiamare in rete la quattordicenne padovana, è solo l’ultimo caso. Ad agosto si era impiccata Hannah Smith, una sua coetanea inglese. A settembre era stata trovata senza vita la dodicenne della Florida Rebecca Sedwick. «Meriti seriamente di morire» era uno dei messaggi che sconosciuti avevano postato sulla sua pagina. Perché la principale caratteristica del sito fondato in Lettonia nell’estate del 2010 è la possibilità di porre domande in forma anonima. O, come dice un’adolescente con il dono della sintesi, è «un sito per chi vuole farsi i fatti tuoi ma non ha il coraggio di farlo a viso scoperto». Il combinato disposto di un muro bianco e una porta chiusa dà come risultato le pareti dei cessi, non propriamente un esempio di continenza verbale. Moltiplicate per 80 milioni, il numero di utenti nel mondo, e comincerete a intuire il tenore della conversazione. «Fai schifo», «ucciditi», «ammazzati» sono termini frequentissimi sulle pagine del servizio online.
Una contabilità approssimativa parla di nove adolescenti che avrebbero deciso di farla finita al termine di ripetuti pestaggi verbali su Ask. fm solo nell’ultimo anno. E sono in molti ormai a chiedere che il social venga chiuso. Il fenomeno del cyberbullismo, d’altronde, è stato metabolizzato anche dalla fiction. “Disconnect”, il bel film di Henry Alex Rubin, racconta di un ragazzino che si impicca per esser stato svergognato su un social network da due coetanei. Lì il mezzo è la messaggistica di Facebook, ma la dinamica è la stessa. L’aggravante di Ask.fm è che la modalità di default è l’interazione anonima. Ti arriva una mail che ti avverte che qualcuno ti ha fatto una domanda. Tu rispondi pubblicamente. E tutti poi potranno commentare, senza firmarsi. L’asimmetria è evidente.
Meno evidente è come difendersi. Nel senso che, ovviamente, si può non rispondere. Però, come spiega Sameer Hinduja, co-direttore del Cyberbulling Research Center e autore del recentissimo Words Wound, le parole feriscono, la tentazione è molto forte: «Gli adolescenti hanno un costante bisogno di conferme, vogliono sapere dagli altri se stanno facendo bene o no. E qualcuno che si ferma sul tuo profilo, ti fa una domanda o lascia un commento assolve a quella funzione». La predica o la censura, sostiene Hinduja, non funzionano. Piuttosto i genitori dovrebbero familiarizzare con queste tecnologie e parlarne apertamente. Che è anche il punto di vista del sociologo Giovanni Boccia Artieri: «Si chiede sempre: “com’è andata a scuola” e mai “com’è andata su Facebook” anche se i ragazzi ci trascorrono una quantità di ore comparabile. Bisognerebbe rendere quei luoghi digitali argomento di discussione quotidiana, anche a scuola. A quel punto i ragazzi troverebbero normale avvisare di immagini o frasi che li hanno turbati». Insomma, decostruire i social network. Piuttosto che sacralizzarli, invocando leggi speciali.
Una vignetta del New Yorker vecchia come la rete recitava: su internet nessuno sa che sei un cane. Un bene se dalla Russia critichi l’omofobia di Putin. Un male se dal calduccio della tua cameretta orchestri una campagna d’odio contro un coetaneo sensibile. Lo psicoterapeuta Luigi Cancrini è più preoccupato dal secondo scenario. Dice: «È vero che si poteva aggredire verbalmente anche prima, magari scrivendo offese sui muri, ma se un poliziotto ti vedeva con uno spray in mano interveniva. Credo che dovrebbero farlo anche questi siti». Non è il suo mestiere suggerire «come», ma non ha dubbi sul «se». «Perché l’età della ragazza che si è tolta la vita è di grandissima vulnerabilità. E non crediate che l’istinto al suicidio affondi radici in chissà quali disturbi. Io ho almeno due amici che tentarono, per poi condurre una vita perfettamente normale. C’è bisogno di speciale attenzione e affetto». Sulla rete come in strada. Ieri le madri temevano certi bar malfamati, ora hanno imparato il nome di Ask.fm, Kik, Voxer. Oppure Snapchat, che permette di mandare sms che si autodistruggono dopo pochi secondi. Va così bene che il ventitreenne fondatore ha di recente rifiutato un’offerta da 3 miliardi di dollari da parte di Facebook. L’anonimato rende. Ma il suo prezzo sociale potrebbe essere troppo alto.