Fabio Martini, La Stampa 11/2/2014, 11 febbraio 2014
LA RESA DEL CAVALIERE DOPO UNA CATENA DI ERRORI
Correva l’estate del 2011 e in quelle settimane, le ultime trascorse da Silvio Berlusconi a Palazzo Chigi, sembrò che il mondo intero non aspettasse altro che la caduta del Cavaliere. Ma come si è capito negli anni successivi, non andò precisamente così: ai primi di agosto la lettera «segreta» della Bce al governo italiano, interpretata come una sorta di condanna a morte per Silvio Berlusconi, in realtà fu l’ultimo tentativo di salvarlo; il personaggio che in Italia accreditò quel tentativo fu un professore di nome Mario Monti, ma poi alla prova dei fatti Silvio Berlusconi non fu in grado di fare le riforme promesse e alla fine, il 12 novembre, fu lui ad arrendersi e ad alzare bandiera bianca. La “vera storia” della caduta del governo Berlusconi non è mai stata scritta per intero, ma una serie di testimonianze successive e la rilettura a posteriori di alcuni eventi, consente di restituire un panorama meno manicheo del crepuscolo berlusconiano a Palazzo Chigi.
Sin dagli albori della crisi, negli ultimi mesi del 2009, i maggiori leader europei sanno che, per evitare un pericolosissimo effetto contagio, occorre evitare una fuga dai titoli di Stato italiani. Ma il governo Berlusconi resiste a riforme incisive, negli stessi mesi in cui il Rubygate indebolisce nel mondo l’immagine del Cavaliere. I mercati sono sempre più inquieti, lo spread comincia ad impennarsi, il governo è indebolito ma dopo tre anni dal suo insediamento, nessuno pensa che possa cadere a breve. È in questo contesto - siamo nell’estate del 2011- che si inserisce il colloquio riferito da Mario Monti ad Alan Friedman per il suo libro «Ammazziamo il gattopardo»: il Professore racconta di essere stato contattato dal Capo dello Stato, per sondarne la disponibilità ad assumere la guida del governo, nel caso in cui la situazione fosse precipitata. In quegli stessi giorni, è il 18 luglio, si svolge a Milano un incontro a Ca’ de Sass, storico palazzo della finanza milanese, dove sono convenuti ad ascoltare Romano Prodi personaggi come Giovanni Bazoli, Carlo De Benedetti, Corrado Passera, Mario Monti, Angelo Caloia. «La Stampa» scrive che in quella occasione si sono parlati riservatamente Prodi e Monti, col primo che ha detto al secondo: «Caro Mario, secondo me Berlusconi non se ne va neppure se lo spingono, ma certo se le cose volgessero al peggio, credo che per te sarebbe difficile tirarti indietro».
Dunque, nel mese di luglio, negli ambienti che contano prende quota per la guida di un governo di emergenza un personaggio quasi sconosciuto al grande pubblico: il professor Mario Monti. Ma l’emergenza finanziaria peggiora e nei primi giorni di agosto, è il 4 agosto, la Bce decide di intervenire. Spedisce al governo italiano una lettera «segreta» a doppia firma - l’uscente Jean Claude Trichet, l’entrante Mario Draghi - nella quale si impone di riscrivere la manovra di luglio, giudicata inefficace dai mercati e di anticipare al 2013 il pareggio di bilancio previsto in origine per il 2014. L’indomani i giornali, ignorando la lettera, raccontano - ma sottovalutano - lo scambio di battute tra Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti. Il ministro dell’Economia accenna ai contatti del governo avviati con alcune istituzioni finanziarie internazionali, indica Ocse, Fondo monetario internazionale e Commissione europea, ma Berlusconi lo interrompe: «Anche la Bce...». Tremonti, spiazzato, replica: «Credo sia molto importante, ma non coinvolgibile in questa fase». E Berlusconi, di nuovo: «Ma informabile sì».
Dunque in quella fase Berlusconi tratta con la Bce di Mario Draghi, che invece Tremonti non ama. Il 7 agosto il Corriere della Sera pubblica un editoriale di Mario Monti, che scrive: «Il governo e la maggioranza, dopo avere rivendicato la propria autonoma capacità di risolvere i problemi del Paese», «hanno accettato in questi ultimi giorni, nella sostanza, un “governo tecnico”», «la primazia della politica è intatta», «ma le decisioni principali sono state prese da un “governo tecnico sopranazionale”». Messaggio in codice al mondo che conta: il governo tecnico è nelle mani di Mario Draghi, Berlusconi ha un’ultima chance.
Ma la sua ultima occasione il Cavaliere se la gioca male. La maggioranza si sfilaccia, perde pezzi e il 10 ottobre il governo è battuto per un voto sull’articolo 1 del Rendiconto di bilancio. Il New York Times titola: «L’era Berlusconi volge al termine». Anche sulle riforme strutturali il governo perde quota, in particolare la Lega si oppone ad interventi incisivi sul sistema pensionistico. Lo spread si impenna. Il 22 Berlusconi parla con la Merkel e annuncia: «L’ho convinta». Non deve esser vero perché l’indomani l’Unione europea lancia l’ultimatum: entro tre giorni un piano su crescita e debito. Un monito accompagnato da uno sketch: durante una conferenza stampa comune la Cancelliera Angela Merkel e il presidente Nicolas Sarkozy, interpellati su Berlusconi, rispondono con sorrisi irridenti. Una caduta di stile che però è un brutto segnale per il premier italiano. Il Capo dello Stato definisce «sgradevoli» i risolini di Merkel e Sarkozy ma chiede al governo di definire le misure da tempo annunciate. Senza successo. Negli ultimi giorni di ottobre le principali diplomazie, in Europa e Oltreoceano, si attivano - non si saprà con quale intensità - per disinnescare la bomba Berlusconi. I vertici di Mediaset consigliano al vecchio capo di mollare per il bene dell’azienda. Il 9 novembre lo spread schizza al punto più alto della sua «storia»: 552 punti. Il 12 novembre il Cavaliere sale al Quirinale e si dimette.