Stefano Semeraro, La Stampa 11/2/2014, 11 febbraio 2014
CIBO, TESTA E FISICO COSÌ LA SCIENZA CERCA L’ELISIR DI LUNGA CARRIERA
Per Kimiko Date, l’highlander tascabile del tennis che a 43 anni ancora vince partite sul circuito femminile, la ricetta della longevità sta tutta nel verso di un haiku: «Cibo giapponese, molta acqua, tè verde. E almeno nove ore di sonno al giorno». Secondo Dino Zoff, che a 40 anni nel 1982 ha vinto un mondiale leggendario, «prima di tutto ci sono le motivazioni. Certamente è necessario aver fatto vita d’atleta per mantenersi integro e il dna conta. Ma c’è anche il piacere di fare attività sportiva, che dopo una certa età si apprezza ancora di più».
Continuare a vincere quando l’anagrafe consiglierebbe altre attività - la cura della discendenza, le telecronache dei trionfi altrui, l’uncinetto - è un’arte che gli atleti praticano sempre di più. Armin Zoeggeler, certo, ma non solo. E non solo in sport poco usuranti. Silvio Branco, anni 47, dodici titoli mondiali sparsi in quattro categorie di peso nel pugilato, sul ring è salito da giovanissimo, perché faticava a crescere, e non ha ancora deciso di scendere. «Mi chiamavano “schizzo”, pesavo 38 chili – racconta - ma sono cresciuto fino ad un metro e 88 e ho vinto titoli dai 72 ai 90 chili di limite: non mi sono risparmiato. Il segreto è non imborghesirsi, anzi, non “incivilirsi”, non rinunciare ai sacrifici. La molla che mi spinge ormai non sono i titoli, né i soldi, ma il fatto che se in palestra mi confronto con i pugili di 25 o 30 anni, il migliore resto ancora io: in Italia e nel mondo. Ho vinto due volte il “Golden Hercules” come miglior corpo nel mondo della boxe, ma è la mia mente che è no limits».
Ci vogliono fisici celestiali, cervelli cannibali, «e una straordinaria capacità di reagire agli infortuni e alle sconfitte», concorda Maurizio Zennoni, il medico di un altro boxeur senza età come Giacobbe Fragomeni. «Però ci sono anche metodologie di allenamento e di recupero che oggi consentono a chi una volta subiva infortuni “definitivi” di tornare a gareggiare, come nel caso di Giacobbe». Il dottor Luca Gatteschi fa parte dello staff della nazionale di calcio e punta il dito sull’intelligenza. «Per vincere da “anziani” bisogna essersi gestiti bene da giovani», spiega. «E capire che a 40 anni non ci si può allenare come a 20. Bisogna puntare sulla qualità, mirare magari alla pulizia del gesto più che sulla quantità. A 20 anni si recupera in fretta anche da un allenamento sbagliato, a 40 un quarto d’ora di troppo può causare problemi».
«Negli ultimi anni - prosegue Gatteschi - lo sport ha lavorato soprattutto sul recupero dagli infortuni e sull’alimentazione, perché si è capito che l’alimentazione è un complemento fondamentale della preparazione. La genetica poi agisce anche a livello mentale, aiuta a fare le scelte giuste. E l’atleta esperto può contare su schemi motori che si sviluppano nel tempo». Elena Casiraghi, ex canoista azzurra, specialista in nutrizione e integrazione dello sport, sottolinea l’importanza del carburante. «Alla fine la chiave è tentare di rallentare l’invecchiamento biologico, che colpisce tutti. Con l’età calano gli ormoni e diventa più facile infortunarsi, il segreto è un’alimentazione antinfiammatoria, quindi ricca di pesce, specie di mari freddi, di olio extra-vergine d’oliva, cibi che contengono i famosi omega 3. Va ridotta la quantità di pasta e pane, favorita l’assunzione di frutta e verdure ricche di colore, segno della presenza di elementi antiossidanti. E poi mirtilli e cacao per aumentare la lucidità mentale, che per un atleta è fondamentale». Un esempio di come si può sfidare l’età nutrendosi con saggezza? «Rossano Galtarossa, il canottiere che seguo, e che a 40 anni fa gli stessi tempi di quando ne aveva 18». Ragionare a tavola, per non invecchiare in campo e in pista.