Stefano Filippi, il Giornale 11/2/2014, 11 febbraio 2014
QUELL’OMBRA DI BRUXELLES DIETRO IL RISIKO DEL QUIRINALE
Mancavano soltanto le confessioni videoregistrate, ma per il resto la storia dell’estate 2011 era già scritta dal Giornale e qualcun altro. Ora le ammissioni di Monti, De Benedetti e Prodi suggellano la ricostruzione di quei mesi in cui lo spread veleggiava su quota 200, più o meno come oggi. È a giugno, rivela oggi Alan Friedman, che Giorgio Napolitano preavvisa il rettore della Bocconi. E il mondo finanziario si muove immediatamente per fare terra bruciata attorno al governo Berlusconi.
Il 25 luglio, data evocativa perché 68 anni prima un’altra congiura di palazzo aveva fatto cadere il fascismo, un manipolo di banchieri si ritrova a Ca’ de Sass, sede di Banca Intesa. Giovanni Bazoli, padrone di casa, riunisce De Benedetti, Prodi, Passera e Monti oltre all’ex presidente dello Ior Angelo Caloia.Con l’occasione di un convegno, si muovono le prime pedine. Secondo quanto scrisse La Stampa , prima del convegno Prodi e Monti confabulano. «Secondo me Berlusconi non se ne va neppure se lo spingono, ma se le cose volgessero al peggio credo che per te sarebbe difficile tirarti indietro », dice il Prof bolognese al Prof milanese: quasi le stesse parole confessate a Friedman.
Pochi giorni dopo, all’inizio di agosto, il Corriere della Sera (sempre lui) pubblica la lettera della Banca centrale europea che detta l’agenda al governo Berlusconi. È un programma di sacrifici da attuare con rapidità che Mario Draghi (presidente entrante) e Jean-Claude Trichet (uscente) impongono al Cavaliere. Proprio ad agosto Monti vede De Benedetti a St Moritz. Giulio Tremonti è costretto a varare in pochi mesi tre manovre di austerità. Ma non basta. L’operazione che condanna l’esecutivo è già partita.
Il 20 luglio, infatti, la Deutsche Bank pubblica dati positivi sull’economia italiana e sull’onda dell’ottimismo riesce a piazzare 7 miliardi di Btp che aveva in portafoglio: un’ondata di vendite che innesca l’ascesa dello spread (la differenza di rendimento tra titoli pubblici italiani e tedeschi) usato come pistola alla tempia del governo. Berlusconi pensò a una mossa estrema. Lasciare l’euro. La voce cominciò a diffondersi. Il presidente dell’Istat tedesco, Hans-Werner Sinn, lo disse a un convegno: «Silvio Berlusconi avviò trattative per fare uscire l’Italia dall’euro».
Una conferma è venuta da Lorenzo Bini Smaghi, membro del Comitato esecutivo della Bce fino al novembre 2011, nel libro Morire d’austerità : «Non è un caso che le dimissioni del primo ministro greco Papandreou siano avvenute pochi giorni dopo il suo annuncio di tenere un referendum sull’euro, e che quelle di Berlusconi siano anch’esse avvenute dopo che l’ipotesi di uscita dall’euro era stata ventilata in colloqui privati con i governi degli altri Paesi dell’euro».
È un’eventualità che l’Europa non può permettersi. La crisi raggiunge il culmine al G20 di Cannes il 3- 4 novembre, quando Barack Obama e Angela Merkel cercano di imporre a Italia e Spagna gli aiuti del Fondo monetario internazionale a condizioni capestro. L’allora premier iberico,José Luis Zapatero, nel libro El dilema (il dilemma) ricorda bene che attorno a un tavolo «piccolo e rettangolare per favorire la vicinanza e un clima di fiducia » il clima era incandescente. «Nei corridoi si parlava di Mario Monti. C’era un ambiente estremamente critico verso il governo italiano. Mi è rimasta impressa una frase che Tremonti ripeteva: conosco modi migliori di suicidio ».
Anche José Barroso, presidente della Commissione Ue, tramava nell’ombra. A un ministro italiano disse che «era necessario staccare la spina a Berlusconi » e che la strategia doveva essere «una raffica di dichiarazioni da tutti i fronti ». Il Wall Street Journal svelò una telefonata del 20 ottobredellaMerkel a Napolitano in cui chiese di cacciare Berlusconi promettendo in cambio aiuti per l’Italia. Secondo il Wsj il Quirinale avviò immediatamente consultazioni informali. Pochi giorni dopo la cancelliera e il presidente francese Sarkozy sghignazzavano del Cavaliere davanti alle telecamere, sicuri del fatto loro. E appena 15 giorni dopo, Monti diventava senatore a vita e poi premier.