Damiana Verucci, Il Tempo 11/2/2014, 11 febbraio 2014
«IO, CRONISTA E PORTOGHESE SUL BUS PER DUE SETTIMANE»
Due settimane sugli autobus in giro per la città, 16 linee prese di mattina, pomeriggio, sera, nessun controllore avvistato. Insomma, per quindici giorni ho viaggiato gratis con un unico biglietto in mano, sempre lo stesso, mai timbrato. Altro che controllori in borghese e «stretta sui controlli» promessa qualche settimana fa dal sindaco Marino. Di uomini dell’Atac non ne abbiamo incontrati né in divisa né in abiti civili (sarà perché sono una settantina in tutto su un totale che sfiora i 12 mila dipendenti?), in compenso abbiamo visto tante persone non fare il biglietto, altrettanti turisti che invece timbravano, siamo stati a volte ad aspettare il bus alla fermata anche più di trenta minuti, abbiamo contato decine di paline alla fermata sulle quali c’era scritto «servizio temporaneamente sospeso» e ci abbiamo impiegato quasi un’ora e mezza per percorrere un po’ più di otto chilometri di strada se per nostra sfortuna di mezzi pubblici ne abbiamo dovuti prendere due per arrivare a destinazione. Prendo spesso il 46 e il 916 per recarmi in centro, un tragitto di circa mezz’ora da piazza Irnerio a largo Argentina. Avevo notato che quelle tre volte a settimana, di media, che facevo avanti e indietro, con tanto di biglietto timbrato, mai una sola volta mi era capitato di incrociare un controllore. Così ho pensato, magari è perché su queste linee non ci sono tanti controlli oppure sono gli orari ad essere «fortunati» e allora ho deciso di cambiare percorso, autobus e orari alla caccia di un controllore.
Inizio lunedì 13 gennaio con il 46B e lo prendo da via di Torresina. A parte il traffico e lo slalom tra le buche di una strada a dir poco dissestata, non sale nessuno a controllare che il biglietto sia timbrato nei 35 minuti circa che occorrono per raggiungere piazza Irnerio. Scendo e risalgo, all’ora di pranzo, sul 916 diretta a Largo Argentina. Qui faccio la prima scoperta, l’autobus è nuovo di zecca e c’è perfino una voce registrata stile metropolitana che ti avverte dell’avvicinarsi della prossima fermata, ma la macchinetta per timbrare non funziona. Lo dico all’autista tra gli sguardi increduli della gente che forse non è tanto abituata a vedere una persona che si preoccupa di timbrare il suo biglietto e l’uomo sulla quarantina di tutta risposta mi fa, «garantisco io per lei», senza firmare il biglietto a penna come prassi vorrebbe. Nel frattempo sale un turista americano, all’inizio di via Gregorio VII. È convinto che sul mezzo si possa acquistare il biglietto, si avvicina all’obliteratrice ma quando scopre che non dà biglietti e oltretutto è anche rotta comincia a guardarsi intorno e a chiedere agli altri cosa deve fare. Vicino a lui c’è gente anziana che l’inglese non lo mastica tanto bene, gli dicono con gesti eloquenti che la macchinetta per timbrare è rotta e lui smarrito e confuso ripone il ticket nella tasca dei pantaloni e scuote la testa. Il 916 ci impiega venticinque minuti per raggiungere il centro, il mio biglietto resta immacolato. Mercoledì 15 gennaio, verso le 15 e 30 mi trovo davanti alla fermata dell’ospedale Santo Spirito, prendo l’881 diretta a piazza Pio XI, le fermate non sono molte. Voglio fare il mio dovere di cittadina e timbrare il biglietto, anche in questo caso, però, la macchinetta è rotta. Avverto l’autista che mi sorride e dice: «È rotta da un paio di settimane, signò, nun se preoccupi». Non mi preoccupo e viaggio gratis insieme a tutti gli altri passeggeri. Per evitare che si possa dire che i controllori non salgono perché sanno che le vidimatrici non funzionano, il giorno dopo prendo di mattina presto il bus 64 dalla stazione Termini diretta al Vaticano. La macchinetta stavolta è funzionante, in compenso si viaggia come sardine in scatola. C’è un traffico pazzesco quella mattina, l’autobus impiega 40 minuti per arrivare alla fermata Cavalleggeri/San Pietro, non sale nessun controllore e in questo caso penso che se anche fosse salito avrebbe potuto fare ben poco per assicurarsi che tutti i viaggiatori fossero muniti di regolare titolo di viaggio. Il giorno dopo, in tardo pomeriggio, prendo sempre da Termini il 492 per andare in via del Tritone. Solito traffico e tanta gente dentro, soprattutto turisti, che timbrano tutti il biglietto, gli unici a farlo in verità. Nessuna divisa dell’Atac venerdì 17 e sabato 18 sul 913 da piazza Cavour a stazione Cipro, sul 30 Express da via Col di Lana a piazzale Clodio e sul 40 da Termini a piazza del Campidoglio. Nuova settimana, la musica non cambia. Inizio lunedì 20, ancora di mattina presto. Da via di Boccea prendo il 490, una linea molto conosciuta che arriva alla stazione Tiburtina. Io mi fermo, però, a piazza Fiume, 20 fermate in tutto. Tanta gente, vidimatrice funzionante, nessun controllore anche in questo caso e il mio biglietto in mano che continua ad essere immacolato. Voglio osare di più un paio di giorni dopo. Prendo il 61 alle 14 circa da via dei Monti Tiburtini, direzione stazione metro Cipro. Per arrivare devo prendere anche il 490, tra attese e percorso lungo 27 fermate ci impiego un’ora e mezza. Conto almeno 50 persone che salgono, di cui soltanto 15 timbrano il biglietto. Tutti gli altri hanno la tessera? Non posso scoprirlo perché non ci sono controllori. Ancora una ventina di fermate, cambio tragitto giovedì 23 gennaio con il bus 271: da Largo Maresciallo Diaz a Lungotevere Farnesina, ancora biglietto immacolato. Stessa cosa sul 280 e sul 70 e anche sul bus 60, in questo ultimo caso, dalla fermata Nomentana/ Asmara a piazza Venezia, conto 20 persone che salgono nelle 11 fermate lungo il tragitto, e solo cinque che timbrano. Anche in questo caso le altre potrebbero avere la tessera, ma il dubbio che stiano invece viaggiando gratis mi resta.
Concludo l’«esperimento» con altre due linee. Sabato 25 da Trastevere salgo sull’N8 notturno, diretta a Termini.
L’esperienza non è delle più rassicuranti per una donna che viaggia da sola. Al posto dei controllori vedo diversi stranieri un po’ alticci e qualche senza tetto che sale e si mette a dormire sui sedili in fondo. Nessuno di loro timbra il biglietto. Lunedì 27, infine, è il bus 446 ad accompagnarmi da Circonvallazione Cornelia fino a via Cortina d’Ampezzo. L’autobus cerca di farsi largo tra le profonde voragini che si sono aperte a causa della pioggia, impiega tre quarti d’ora per arrivare a destinazione ma non farà salire neanche un controllore. Ripongo il mio biglietto nuovo di zecca nel portafoglio.
Damiana Verucci