Paolo Siepi, ItaliaOggi 11/2/2014, 11 febbraio 2014
PERISCOPIO
«Ti faccio una proposta», ha detto Berlusconi a Cappellaci, candidato Fi alla Regione Sardegna, dal palco della Fiera di Cagliari: «Devi cambiare il tuo cognome. Vedi, quando ero presidente del consiglio venne da me un signore che si chiamava, è una storia vera eh, Giancarlo Merda. E mi chiese di cambiare il nome. Io ritenni questa sua richiesta assolutamente giusta. Me ne occupai e in 15 giorni ottenni la possibilità di cambiargli il nome. Poi, per curiosità gli dissi: «Bene, adesso può cambiarlo, come si vuol chiamare?». «Ugo Merda», rispose. In sala, tutti a ridere, ma da quel giorno, sul web, centinaia di buontemponi si divertono ad aggiungere sotto la foto del governatore sardo uscente, una didascalia al vetriolo. «Ugo Merda (l’ha detto Berlusconi)». Sebastiano Messina. la Repubblica.
Anziché porgere le terga a qualche frustata, il governatore della Sardegna, Cappellacci, ha risposto all’insulto della sua concorrente Michela Murgia che gli diceva: «Sei lo Schettino della politica» con la battuta: «E allora tu sei la Concordia, perché affonderai come lei. Come stazza, ci siamo». Gemma Gaetani. Libero.
Enrico Letta piace a tutti i diplomatici perché è felpato come loro e come loro parla le lingue straniere. La sua prima conferenza stampa a Bruxelles, Letta l’ha fatta un po’ in inglese e un po’ in francese. Il suo inglese è meglio di quello di Monti. Il guaio è che non ha molto da dire. Il Fatto.
Perché dovrei mettere nel governo Letta dei nomi miei di ministri? Non è perché è arrivato Renzi che gli toccano tre ministri. Io non ho fatto tutto ’sto casino per cambiare tre ministri. Io voglio cambiare l’Italia, non tre ministri. Il loro gioco è: diamogli tre ministri e lo facciamo contento. Ma con me non funziona perché non mi fanno contento con tre ministri. Ma vanno benissimo i ministri che ha Letta, purché funzionino. Matteo Renzi. la Repubblica.
L’ira di Grillo e di molti suoi parlamentari viene dalla convinzione che la nuova legge elettorale li renderà marginali in Parlamento. Giampaolo Pansa. Libero.
Se il nostro valoroso premier Enrico Letta avesse portato con sé negli Emirati Arabi, pure Saccomanni, pittato col lucido da scarpe come Nino Taranto in «Totòtruffa», magari rimediavano pure un ponte a gittata unica con Katonga. Invece i titoli dedicati all’Editto di Doha dalla stampa di regime, che traducono l’espressione maccheronica del premier «è una barbaria, è una barbaria» nell’italiano «barbarie», vanno ad aggiungersi alla lunga tradizione dell’eterno Minculpop nazionale. Marco Travaglio. Il fatto.
Il giovane Winston Churchill non aveva assolutamente illusioni sull’enorme sfida di voler fare una guerra in Afghanistan. «Finanziariamente è rovinosa. Moralmente è malvagia. Militarmente è una questione aperta e, politicamente, è un errore sproporzionato». Con Coughlin. WSJ.
Nel 2001 Pierferdinando Casini viene eletto presidente della Camera. All’epoca le istituzioni si oltraggiavano così. Edelman. Il Fatto.
Quando mi dedico a Pierferdinando Casini (che è un leader ma non so di che cosa) mi piacerebbe scrivere peste e corna, perché se lo merita. Ma resisto alla tentazione. Tutto sommato, mi è simpatico. Ha un’aria da buontempone e, come succede spesso a coloro che ignorano il significato del vocabolo «serietà» conclude ogni suo discorso televisivo con l’aggettivo «serio»: confronto serio, proposta seria e roba del genere. Casini è il Bel Ami della politica italiana: si presenta bene, sa stare a galla, praticamente è un sughero inaffondabile. Vittorio Feltri. Il Giornale.
Aldo Grasso, critico televisivo del Corsera nonché ex indimenticabile direttore di RadioRai in quota Spirito Santo, ha, di fatto, invitato l’editore di La7 (cioè il mio editore) a sbarazzarsi di me. Secondo Grasso, redattore dell’edittino di via Solferino, Paragone non va tenuto, caro Cairo, Paragone va cacciato e la Gabbia va chiusa. Capito? Se un grillino brucia il libro di Augias, il club degli Amici degli Amici, richiama pericoli e tentazioni naziste. Se invece Aldo Grasso invita un editore a chiudere un programma e a cacciare un giornalista, nulla di grave. Quello si può fare. Gianluigi Paragone. Libero.
Il meglio di quello che scrivo sta nel filtro che esercito. Nella disciplina. La pagina non viene da me mai rivista meno di 25 volte. C’è maniacalità, nel mio lavoro di scrittura. Artigianato. Cura. Ossessione. Lavoro di notte e dormo di giorno. Mi sveglio tardi, verso le 16, se qualcuno non mi rompe i coglioni prima. Ogni libro quindi è una vera sofferenza. Non hai visto come cammino? Con il primo libro l’ernia al disco, con il secondo l’infarto, con il terzo un altro infarto. Poi mesi di carrozzella, il tunnel carpale, il fuoco di Sant’Antonio, ’sta cazzo di tendinite al piede. Li pago perché è così che deve andare e invecchio perché accade. Lo accetto, l’invecchiamento. Lo accetto. Antonio Pennacchi, scrittore, autore di «Canale Mussolini». Il fatto quotidiano.
Il senatore Giorgio Tonini, ex ghost writer di Veltroni, ai tempi assimilato per il suo aspetto a un barbuto frate cappuccino, se ne è uscito, per commentare il rapporto tra Letta e Renzi, con una formula di natura ossimorica. «Temperato dissenso» che ha suscitato il sincero, ancorché ironico, entusiasmo dc di Renzi che, di quel mondo antico, crudele e sapiente, coltiva le raffinatezze. Così se ne è uscito dicendo: «Debbo dire che nel Pd è in corso un processo di democratizzazione. Anch’io ho cercato di contenermi, riuscendoci con difficoltà, come è noto». Matteo Renzi. la Repubblica.
Alla Bignardi che alla sua trasmissione Invasioni Barbariche ha accusato un cinquestellato di essere figlio di un fascista, vorrei ricordare che essere figli di fascisti non è una scelta, mentre, come ha fatto lei, diventare nuora di Adriano Sofri, sì. E poi, al di là di quel che dite, cari compagni, essere fascisti non è un crimine, uccidere (o far uccidere) un commissario di polizia, sì. Marcello Veneziani. Il Giornale.
«Com’è triste la prudenza», slogan su un gigantesco striscione nel centro di Roma. Il Tempo.
Ho conosciuto un impresario di pompe funebri. Siamo diventati grandi amici. Mi ha detto: le porte della mia agenzia sono sempre aperte. Ancora mi tocco. Roberto Gervaso. Il Messaggero.