Filippo Facci, Libero 11/2/2014, 11 febbraio 2014
EUTANASIA DI UN PAESE
Cinque anni fa morì Eluana Englaro: accadde dopo 17 anni di non-vita, dopo una dozzina di sentenze della magistratura e dopo che la politica se n’era sempre fottuta, salvo abborracciare una legge-mostro che per fortuna non arrivò in tempo. L’Italia, da allora, è ancora priva di una normativa sul fine-vita, e siamo tornati a quella cappa narcotica che ha sempre circondato le cose che si fanno e non si dicono. Meglio così, a questo punto. Meglio il Paese reale, con le sue soluzioni sottaciute e praticate da sempre, piuttosto che un Parlamento incapace di guardare in faccia la realtà. Meglio un Paese che seguiti a cavarsela da solo, e dove il decesso di centinaia di migliaia di pazienti è accompagnato da un intervento segreto e non dichiarato dei medici, piuttosto che i deliri legislativi di chi bada all’acquiescenza vaticana ma non alla volontà effettiva dei cittadini. Da noi l’eutanasia esiste: basta non ammetterlo pubblicamente. Decine di studi testimoniano che la sospensione delle cure e l’eutanasia sono tranquillamente praticate. Basta nasconderlo, e poi del resto - direbbero - ora non èuna questione «prioritaria». Dicono che certi temi non spostano voti: ma, per quel poco che vale, spostarono il mio. E comunque l’epilogo del caso Englaro fece perdere a Chiesa,Magistratura, Parlamento, Rai e Mediaset una media di sette punti di fiducia. Lo sfacelo di un Paese è fatto anche di questo.