Emiliano Liuzzi, Il Fatto Quotidiano 11/2/2014, 11 febbraio 2014
INAIL, IL PRESIDENTE IN CONFLITTO D’INTERESSE
[Massimo De Felice]
Il suo nome riuscì a mettere in difficoltà un già barcollante governo Monti. Ma l’allora ministro per il Welfare, Elsa Fornero, non sentì ragioni: nominò Massimo De Felice a presidente dell’Inail, l’istituto nazionale per le assicurazioni contro gli infortuni sul lavoro. Un colosso che può vantare disponibilità in cassa di qualcosa come 20 miliardi di euro. Ma contro il suo nome si schierarono tutti, dalla Lega Nord, all’allora Pdl e Pd. Solo la Fornero lo volle.
LA CAUSA di tanta resistenza da parte del Parlamento che, comunque, non fu vincolante, era da riportare a un conflitto d’interessi di De Felice: in curriculum ha, nel suo recente passato, un posto nel consiglio di amministrazione di un gruppo assicurativo ed è titolare di una società che per le assicurazioni lavora. Ma non solo: De Felice, secondo quanto sostenuto dai suoi detrattori, non risponderebbe in maniera piena ai requisiti che la carica gli imporrebbe alla guida di un istituto che si occupa, in parte, anche di ricerca. Il suo rating accademico, misurato su scala internazionale con l’H–Index, è fermo a 1, il minimo. Il ministro Fornero, interpellata sull’argomento , spiegò “di aver fatto una scelta manageriale e non scientifica”. Margherita Miotto, parlamentare, stretta collaboratrice dell’allora presidente Pd, Rosy Bindi, in una interrogazione sostenne che occorreva invece una personalità scientifica, dopo che l’Inail aveva assorbito l’Istituto Superiore della Prevenzione, l’equivalente dell’Istituto Superiore di Sanità per la Sicurezza del Lavoro.
Elio Lannutti, presidente dell’associazione dei consumatori Adusbef e allora senatore dell’Idv, definì De Felice “un portatore sano di un poderoso conflitto di interesse nel ramo delle assicurazioni private”. Alle parti politiche Fornero rispose: “Me ne assumo io ogni responsabilità”. E quando Fornero si assumeva la responsabilità, qualcuno, magari esodato, finiva per piangere. Non è bastato allora e non basta oggi, anche e soprattutto dopo le dimissioni di Mastrapasqua dall’Inps: De Felice era nel mirino e nel mirino resta.
Lui spiega di essersi liberato, al momento della nomina, di ogni incarico nel ramo assicurativo. Ma in realtà è ancora socio di Alef, società di tutto rispetto, con qualcosa come cinque milioni di giro d’affari, ottima liquidità e una specializzazione nella consulenza ai colossi assicurativi, dalla Sai a Sara Assicurazioni, Poste Vita fino a Generali, tutte sono state o sono attualmente clienti di Alef. E questo pone De Felice in un conflitto d’interessi quasi insostenibile per un colosso pubblico e con un presidente del Consiglio, Enrico Letta, che in più d’una occasione ha respinto attribuzioni di cariche a manager di Stato che abbiano interessi in società private. De Felice a Letta ha ribadito , per iscritto, di essersi liberato “da ogni incarico che ricoprivo in consigli di amministrazione, e sono stato posto in aspettativa dalla Sapienza Università di Roma. L’incarico, svolto a titolo gratuito, di Vicepresidente dell’Ente Nazionale Italiano di Unificazione è strettamente correlato alla Presidenza dell’Inail”. In realtà si tratta di un ente che fornisce gli standard di sicurezza degli impianti e dei prodotti industriali e così anche sotto quel profilo De Felice risulta in conflitto di interessi. A sua insaputa, dovendo rispettare come Inail quegli standard.
Non fa cenno però della partecipazione societaria in Alef.
IL PRIMO a sollevare riserve sul suo nome e a ribadirle oggi, anche a un anno di distanza, fu il leghista Massimiliano Fedriga, secondo il quale “il professor De Felice è stato consigliere di amministrazione di Intesa Vita, il ramo assicurativo del gruppo Intesa San Paolo e guarda caso il ministro Fornero era il vicepresidente del consiglio di sorveglianza proprio di Intesa San Paolo”. Per diventare presidente dell’Inail De Felice doveva avere il placet del Civ (Comitato interno di valutazione) organismo zeppo di sindacalisti e rappresentanti delle parti sociali. Sono 17, e percepiscono per il loro “disturbo” 1.000 euro al mese, il presidente 1.800 euro.