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 2014  febbraio 11 Martedì calendario

LA TELA DEL COLLE E LO SPREAD


Crisi finanziaria, crisi politica. Come nell’autunno del 1992, quando finimmo a un passo dal default, la sequenza degli eventi che si susseguono dalla tarda primavera all’autunno del 2011 lo conferma: siamo giunti nuovamente a un passo dal baratro.

Attacco all’eurozona, certo, quando si diffuse tra gli investitori la percezione che il fragile edificio costruito attorno alla moneta unica stesse franando. Attacco all’Italia, anello debole e per questo esposto come non mai alla crisi di fiducia abbattutasi sull’intero continente.
Abbiamo rischiato grosso in quell’autunno del 2011, fino all’epilogo, con un preoccupatissimo Giorgio Napolitano dal Quirinale a pilotare il cambio di governo, peraltro chiesto a gran voce da mezza Europa e non solo. Epilogo, perché già in estate, quando il governo Berlusconi si dibatteva tra contrasti interni esplosi chiaramente con la frattura tra Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti, ma in realtà già minato dagli eventi seguiti alla scissione dei finiani, Napolitano aveva cominciato a tessere la sua tela, fatta di strategie e possibili contromosse.
Il tutto esplode in estate. La prima manovra del 2011 vede la luce il 30 giugno: l’insieme delle misure «vale» 40 miliardi, ma il decreto appena varato ne assicura solo 25,3 miliardi. Altri 16,9 miliardi nel biennio dovranno essere recuperati attraverso il gettito (ipotetico) atteso dal disegno di legge delega in materia fiscale e assistenziale. Lo spread Btp-Bund, che a marzo era attorno a 170 punti base, da giugno prende a salire dai 210 punti oltre i 300 punti base.
A metà luglio, è attorno ai 330 punti base. La manovra non convince i mercati, pesa l’impasse politica in cui si dibatte il governo. Parte l’attacco ai nostri titoli del debito pubblico. Siamo alla vigilia di Ferragosto e il governo Berlusconi è costretto a varare un secondo intervento correttivo sotto dettatura della Bce e di Bruxelles. Di fatto l’ormai famosa lettera della Bce pone il nostro paese sotto stretta sorveglianza, una sorta di «commissariamento» di fatto, anche se non esplicitato. Rispetto al decreto di luglio si punta a ridurre ulteriormente il deficit dell’1,1% del Pil nel 2012, dell’1,5% nel 2013 e dello 0,4% nel 2014, e il pareggio di bilancio viene anticipato al 2013. La manovra netta produce un miglioramento dei saldi nel triennio rispettivamente di 18,4 miliardi, 25,5 miliardi e 7,4 miliardi. Nel corso dell’esame parlamentare l’impianto del decreto esce ulteriormente rafforzato: il contributo delle maggiori entrate sale a 36 miliardi (14 miliardi nel 2012 e 22 miliardi nel 2013). Incremento che si deve per gran parte all’aumento dell’Iva dal 20 al 21%, al gettito atteso dalla nuova stretta antievasione e in misura minore al contributo di solidarietà del 3% sui redditi oltre 300mila euro l’anno. L’apporto dei tagli alla spesa resta sostanzialmente invariato: 10,4 miliardi nel 2012 e 7,7 miliardi nel 2013. Nel passaggio al Senato il complesso degli interventi per il biennio 2012-2013 sale così nel totale a circa 54,2 miliardi (59,6 miliardi nel 2014). Parte rilevante (oltre il 65%) è affidata alle misure fiscali.
I mercati paiono concedere una tregua, ma dai primi di settembre lo spread comincia a crescere in modo impressionante, fino a raggiungere la soglia di allarme. L’apice viene raggiunto mercoledì 9 novembre 2011, quando il differenziale tra Btp e Bund infrange la barriera dei 575 punti base, con il rendimento anche dei titoli a breve oltre la soglia critica del 7 per cento. Ma soprattutto, lo scenario da incubo si manifesta quando i titoli di Stato a un anno vengono collocati con un rendimento al 9% sul mercato secondario. È il segnale che gli investitori temono ormai per il nostro Paese una crisi di liquidità.
È il colpo di grazia alla già traballante coalizione che sostiene il governo Berlusconi. Entra in campo Napolitano. Mossa evidentemente meditata da tempo, come conferma la ricostruzione di Alan Friedman apparsa ieri sul «Corriere della Sera»: prima la nomina di Mario Monti a senatore a vita, poi l’incarico per formare il nuovo governo. Il decreto «salva-Italia» vede la luce il 4 dicembre ed è la terza manovra del 2011: 21,1 miliardi diretti alla sola riduzione del deficit), 34 miliardi nel totale. L’insieme degli interventi correttivi del 2011 sale così a 81,3 miliardi a regime (2014). Si spegne l’incendio, si prova a curare il malato. A salvare l’euro sarà qualche mese dopo Mario Draghi.