Emanuela Audisio, la Repubblica 11/2/2014, 11 febbraio 2014
COSÌ È RINATA LA MIA CAROLINA MA A SOCHI IL CERCHIO SI CHIUDE
[madre di Carolina Kostner]
Kostner&Kostner. Carolina vista e raccontata da mamma Patrizia, che per la prima volta la segue ai Giochi grazie al programma della P&G (Procter & Gamble) che ospita e assiste i genitori dei campioni. Carolina nelle gara a squadre è stata perfetta, soprattutto leggera. Come se la vicenda del suo fidanzato, Alex Schwazer, campione olimpico di marcia a Pechino poi fermato per doping, non pesasse più.
È facile essere una mamma al seguito?
«No. Soffro molto, ho un cuore ansioso. Ma come ha detto mio marito: goditela, senza nasconderti dietro al palo, perché non la vedrai mai più così».
È l’addio di Carolina ai Giochi.
«È un cerchio che si chiude, va bene così. È andata via di casa a 14 anni. Io sono andata a Torino nel 2006 il giorno in cui ha esordito ai Giochi. Allora era una bambina con la gioia di partecipare. Vancouver invece era una trasferta troppo lontana, quando ho visto la sua gara affannata, poverina, mi ha fatto tenerezza. E sono rimasta male anche per le parole di Petrucci. Che bisogno c’era di offenderla dicendo non è una campionessa? Però l’avevo accompagnata per una settimana a Los Angeles, quando si è trasferita».
Un trasferimento che non ha pagato.
«Se non si prova, non si sa. Carolina aveva l’età giusta per farlo ed era scontenta dei rapporti con il suo coach. Ma il passaggio dalla Baviera a Los Angeles nel 2010 è stato duro, necessario, però complicato. Io l’ho aspettata a casa, a Ortisei».
Dove è tornata distrutta, convinta di smettere.
«Sì. Ne abbiamo parlato insieme, anche se il suo punto di riferimento è il papà, Erwin, campione e allenatore di hockey. La prima cosa è stata decidere dove allenarsi: di là o di qua. Non voleva smettere con quell’immagine di sé con il sedere a terra. Abbiamo passato una brutta estate. Mio marito l’ha incoraggiata: trova il coraggio di chiedere a Huth che ti riprenda a Oberstdorf. Lei l’ha fatto».
Carolina a Sochi è rinata, sembra un’altra, più leggera.
«Per me è sempre la mia bambina. Ma è vero: è diversa dalle altre, più serena, tutto le traspare in viso quando pattina. È maturata e si è chiesta cosa vuole dalla vita. Ora si perdona, non cerca più la perfezione, segue la sua voglia di stare sul ghiaccio. Ha sempre voluto sempre e solo quello, da quando è piccola».
Cosa le ha regalato per i suoi 27 anni?
«Un braccialetto d’oro. Senza scritte. Lei ha preso il pacchettino e l’ha portato via. Spero l’abbia aperto. Le auguro tutto il bene del mondo. Anche io pattinavo, ma non ai suoi livelli, e ho dovuto smettere».
Dietro alla leggerezza di Carolina si dice ci sia un altro.
«Non seguo i pettegolezzi, né parlo della sua storia privata. Se si allude a Tomas Verner, campione ceco che si allena con lei e con coach Huth dico che lo conosco anch’io. Da tanto tempo, l’ho visto crescere, è come un figlio per me e un fratello per lei. La fidanzata francese lo ha lasciato».
Non ha avuto momenti felici nemmeno Carolina, per via di Schwazer.
«La gente non sa cosa abbiamo passato. Ho avuto paura di tante cose, della sua tenuta psicologica, del fatto che mollasse tutto. Vederla abbattuta, chiusa in stanza al buio, è stato brutto. Carolina poteva affondare, invece è risalita, ha trovato la forza per capire che doveva seguire la sua strada. Non è molle dentro, è una che combatte».
Quando torna a casa siete mamma e figlia.
«Sì. Ci tengo. Lei si sdraia sul divano, io le cucino il gulasch, ma in bianco, con il riso. E poi gli spinaci. Faccio anche la Sacher, oddio la servirei con la panna, ma Carolina deve stare attenta e così mi sacrifico».