Paolo Di Stefano, Corriere della Sera 11/2/2014, 11 febbraio 2014
L’«INFORESTIERIMENTO», ANTICA PAURA DEI NOSTRI VICINI
La memoria torna inevitabilmente, in questi giorni, alle iniziative popolari del passato. Il timore della «Überfremdung» (tradotto dai ticinesi con «inforestierimento») portò il 7 giugno 1970 alle urne il popolo svizzero, chiamato a votare l’iniziativa di James Schwarzenbach, leader del partito xenofobo (allora si usava questo aggettivo) Azione nazionale, che voleva limitare al 10 per cento la presenza degli stranieri, in maggioranza italiani, sul suolo elvetico. Il referendum, che avrebbe comportato l’espulsione di 300 mila lavoratori, richiamò al voto ben il 75 per cento della popolazione, ma fu respinto dal 54 per cento. Erano gli anni del boom economico e dei permessi stagionali che impedivano agli stranieri di avere con sé le famiglie: nel 1964 un documentario di Alexander Seiler, «Siamo italiani», aveva raccontato la disumanità del lavoro degli immigrati. Le successive iniziative di Schwarzenbach (1974 e 1977), ancora più restrittive, sarebbero state bocciate da percentuali crescenti. Della minaccia di «inforestierimento» si tornerà a parlare nel 1988 e nel 2000, di nuovo senza successo: questa volta non erano gli italiani l’obiettivo primario, ma i cosiddetti «extracomunitari». Molti italiani, nel frattempo, erano morti in Svizzera lavorando nelle gallerie e nelle dighe (a Mattmark, nel 1965, un ghiacciaio seppellì 100 operai, 59 dei quali erano italiani). Le tragedie contribuirono ad accrescere, oltre alla consapevolezza del bisogno di manodopera estera, anche il senso di colpa in un Paese profondamente cristiano, anche se perennemente tormentato dal problema dell’identità elvetica (specie nelle zone di confine) e dal senso di accerchiamento. La crisi di oggi, presa in carico dalla demagogia della destra populista, oscura l’antico senso di colpa, ma anche la consapevolezza di un mondo del tutto cambiato. E la fuga nelle rassicurazioni illusorie, come osserva lo storico della lingua Sandro Bianconi, impegnato sul fronte anti-limitazione, «diventa la soluzione più a portata di mano per una democrazia diretta sempre meno adeguata a una realtà molto più complessa che in passato, che richiederebbe decisioni razionali e non anacronistiche, capaci di oltrepassare la vecchia retorica della minaccia». Retorica a cui, paradossalmente, non sono estranei gli immigrati naturalizzati, ormai fieri di sentirsi «supersvizzeri».